martedì 8 agosto 2023

TURANDOT di GIACOMO PUCCINI


Opera in 3 atti su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni (tratto da “Le Mille e un Giorno” di Carlo Gozzi) 

Musica di Giacomo Puccini (finale completato da Franco Alfano) 

Epoca di composizione: luglio 1920 – ottobre 1924

Prima rappresentazione: Teatro “Alla Scala” di Milano, 25 aprile 1926  

Versioni successive: un nuovo finale dell’opera è stato composto da Luciano Berio (2001)

 

Personaggi:   

Turandot, principessa (soprano drammatico)
Altoum, suo padre, imperatore della Cina (tenore)
Timur, re tartaro spodestato (basso)
Calaf, il Principe Ignoto, suo figlio (tenore drammatico)
Liù, giovane schiava, guida di Timur (soprano lirico)
Ping, Gran Cancelliere (baritono)
Pang, Gran Provveditore (tenore)
Pong, Gran Cuciniere (tenore)
Un Mandarino (baritono)
Il Principe di Persia (tenore)
Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)   

Guardie imperiali – Servi del boia – Ragazzi – Sacerdoti – Mandarini – Dignitari – Gli otto sapienti – Ancelle di Turandot – Soldati – Portabandiera – Ombre dei morti – Folla 

 

Interpreti della prima rappresentazione: 

Turandot (soprano) Rosa Raisa
L’Imperatore Altoum (tenore) Francesco Dominici
Timur (basso) Carlo Walter
Calaf (tenore) Miguel Fleta
Liù (soprano) Maria Zamboni
Ping , Gran Cancelliere (baritono) Giacomo Rimini
Pang, Gran Provveditore (tenore) Emilio Venturini
Pong, Gran Cuciniere (tenore) Giuseppe Nessi
Un Mandarino (baritono) Aristide Baracchi 

Direttore: Arturo Toscanini

 

Trama: 

Periodo storico: Al tempo delle favole.


Atto I

Un mandarino rende noto alla popolazione l’editto di Turandot che viene emanato quotidianamente, secondo il quale lei sposerà chi “di sangue regio” indovinerà i tre  quesiti alquanto difficili che lei stessa sottopone; chi non ruscirà a risolverli, subirà il taglio della testa al sorgere della luna.


Sotto le  mura della città proibita di Pechino, si ritrovano tre personaggi: sono identificati come Il Principe Ignoto, Timur (Il Re, suo padre) e Liù (la schiava – serva del vecchio re cieco, il cui figlio le aveva sorriso molto tempo prima, sostenendola a sopportare l’esilio per entrambi).  

A causa della confusione, Timur cade a terra, Liù chiede aiuto (“Il mio vecchio è caduto”), per cui Calaf interviene, riconoscendo il padre e abbracciandolo commosso.    


La folla delira perché vuole una nuova vittima del decreto di Turandot e si esalta maggiormente all’arrivo del boia, inneggiando alla Luna che è identificata quale simbolo mortale che personifica la purezza e la freddezza della Principessa Turandot e i fanciulli cantano una melodia che si ripete nello svolgimento dell’opera (“Là, sui monti dell’Est”), melodia che riguarda l’argomento del Mò-Lì-Hua, ossia il Fiore di Gelsomino: si tratta di una canzoncina cinese che viene intonata anche come ninna-nanna.    


Tale folla, però, non è solo aguzzina e diventa anche pietosa, per cui chiede di salvare il giovane condannato che sta passando: Il Principe di Persia. 

Il Principe Ignoto desidera fortemente vedere la crudele Turandot che biasima  ma, appena la principessa appare brevemente per avvalorare la condanna, rimane conquistato dalla sua bellezza, come impazzito, per cui è spinto ad affrontare la prova dei tre indovinelli: “O divina bellezza, o meraviglia!“ e per cui vuole suonare il gong per sfidare e conquistare Turandot, rischiando la vita.   

A nulla valgono le preghiere sarcastiche e le minacce buffe di tre maschere: i tre dignitari di corte Ping, Pong e Pang, lo trattano sarcasticamente per dissuaderlo, ma Calaf “non sente”.     

Liù teme per Calaf (“Signore, ascolta”) e gli si rivolge perché non attui il suo folle proposito, ma non riesce a dissuaderlo: lei non vuole perdere il sorriso che l’ha incantata. 

Lui la esorta:  “Non piangere, Liù”. Lo esprime in modo fermo, lucido e, soprattutto, dolce; le raccomanda il padre e si incammina incontro a quanto il Destino ha scritto per lui.   

 

Atto II

È notte.

Le tre maschere Ping, Pong e Pang riflettono in modo realistico che, con la loro carica di ministri del regno, sono obbligate a presenziare alle esecuzioni dei martiri di Turandot, ma opterebbero volentieri per la vita tranquilla nelle loro proprietà fuori Pechino, per cui si augurano che un vero amore ponga fine alla sete di sangue della principessa.      


Mentre si prepara la cerimonia degli enigmi, l’Imperatore Altoum implora Il Principe Ignoto di rinunciare, ma la cosa è vana. 

Quindi, davanti alla reggia, appare Turandot che, nella sua grande scena, dichiara a Calaf il suo comportamento: moltissimi anni prima (“or son mill’anni e mille”), dopo la caduta del regno, la sua ava Lou-Ling era stata rapita e uccisa da un principe straniero per cui, ora, vuole vendicarla del suo candore disonorato, a mezzo della sfida con i principi stranieri che “devono” risolvere i suoi enigmi, per cui la morte è  l’espiazione sanguinaria.      


Calaf li risolve correttamente: Turandot, incredula e disperata, implora il padre di difenderla verso lo straniero, ma l’imperatore e il coro le ricordano il giuramento che, sdegnosa, apostrofa il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“. 

Calaf possiede la grandezza dell’eroe e consente a Turandot di non rispettare il voto per mezzo dell’unica possibilità di indovinare il suo nome prima dell’alba: se tale cosa avverrà, egli morirà come se l’esito della sua vittoria gli fosse sfavorevole.    


La sfida viene accettata, mentre si diffonde l’inno imperiale.

Atto III

È notte e aleggia il mistero.

Le guardie cercano minuziosamente nei giardini in cerca di informazioni e  gli araldi consegnano il nuovo ordine della principessa che impone che “Questa notte, nessuno dorma, in Pechino, pena la morte; il nome dell’ignoto sia segnalato prima del mattino!”.
Calaf è sicuro di vincere e canta la famosa aria “Nessun dorma”. 


Ping, Pong e Pang, gli comandano di arrendersi alla sfida, che si accontenti di avere vinto  gli enigmi e parta per non tornare mai più, ma egli rifiuta offerte di denaro, donne e gloria. Calaf ha vinto, ma vuole vincere anche sull’orgoglio e sull’odio interiore di Turandot. Vuole vincere il suo gelo interiore a causa di un crimine vecchissimo. E’ sicuro di vincere.     


Mentre aspetta l’alba, Calaf comincia a ritrovarsi in una specie di angoscia perché Liù e Timur che, poche ore prima, erano stati notati assieme a lui, vengono condotti in presenza di Turandot e dei  tre ministri. 

Liù, decisamente, afferma di essere l’unica a conoscere  il nome del principe Ignoto e, pur venendo torturata, non cede, per cui – di fronte a tanta stabilità morale – Turandot le chiede come possa sopportare una prova atroce. 

Liù risponde soavemente: “Principessa, l’Amore”.  

Nonostante la sua glacialità, Turandot rimane turbata, ma si controlla e ordina ai tre ministri di scoprire il nome dell’Ignoto: costi quel che costi.     


Liù, sa che non riuscirà a sopportare ancora per molto e, di sorpresa, strappa un pugnale ad una guardia e si uccide. 

Timur, cieco, non comprende l’accaduto e, quando Ping gli rivela la verità, abbraccia Liù, il cui corpo viene condotto via seguito dalla folla in preghiera.      


Turandot e Calaf restano soli e il principe è alterato verso la principessa, per avere causato troppo male provocato dalla sua rabbia: Turandot, un essere privo di sentimenti (“Principessa di Morte”), ma Calaf si fa riprendere dall’amore di cui non sa liberarsi.   

E’ respinto da Turandot che, poi, ammette che la prima volta che lo ha visto lo ha temuto, ma che ormai è schiava della passione, che li porta ad un bacio caloroso.    

Ma, essendo orgogliosa, implora Calaf di non umiliarla. Calaf le rivela il suo nome  e la sua vita è nelle mani di lei: Calaf, figlio di Timur. 

Il giorno dopo, una folla immensa è radunata davanti al palazzo imperiale e si odono gli squilli delle trombe. 

Turandot dichiara a tutti il nome dello straniero: ” Il suo nome è Amore”. 

Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.   

 

Brani celebri:      


Atto I  

Gira la cote! (coro del popolo e degli aiutanti del boia)  

Perché tarda la luna? Invocazione alla luna (coro)  Là sui monti dell’est (coro di ragazzini che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua). 
Signore, ascolta!, romanza di Liù
Non piangere, Liù!, romanza di Calaf  Concertato finale

 

Atto II  

Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle maschere
In questa reggia, aria di Turandot
Straniero, ascolta!, scena degli enigmi


Atto III

Nessun dorma, romanza di Calaf
Tanto amore, segreto e inconfessato – Tu che di gel sei cinta, aria (in due parti) e morte di Liù
Liù, Liù sorgi…Liù bontà, Liù dolcezza, aria di Timur



Discografia e Incisioni note:

Gina Cigna, Magda Olivero, Francesco Merli, Luciano Neroni, Afro Poli  Franco Ghione Warner Fonit

Inge Borkh, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, Nicola Zaccaria, Fernando Corena       Alberto Erede   Decca Records     

Maria Callas, Elisabeth Schwarzkopf, Eugenio Fernandi, Nicola Zaccaria, Mario Borriello           Tullio Serafin            EMI Classics      

Birgit Nilsson, Renata Tebaldi, Jussi Björling, Giorgio Tozzi, Mario Sereni         Erich Leinsdorf RCA Victor     

Birgit Nilsson, Renata Scotto, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti, Guido Mazzini    Francesco Molinari Pradelli            EMI Classics    

Joan Sutherland, Montserrat Caballé, Luciano Pavarotti, Nicolaj Ghiaurov, Tom Krause Zubin Mehta     Decca Records      

Montserrat Caballé, Mirella Freni, José Carreras, Paul Plishka, Vicente Sardinero         Alain Lombard EMI Classics    

Katia Ricciarelli, Barbara Hendricks, Plácido Domingo, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik     Herbert von Karajan Deutsche Grammophon      

Eva Marton, Margaret Price, Ben Heppner, Jan-Hendrik Rootering, Bruno de Simone   Roberto Abbado            RCA Victor

 

Registrazioni dal vivo:       

Birgit Nilsson, Anna Moffo, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti Leopold Stokowsky Metropolitan New York

Birgit Nilsson, Leontyne Price, Giuseppe Di Stefano, Nicola Zaccaria    Francesco Molinari Pradelli       Wiener Staatsoper

Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Roberto Scandiuzzi           Daniel Oren      Teatro Margherita

Giovanna Casolla, Katia Ricciarelli, Lando Bartolini, Sergio Fontana     Rico Saccani     Avenche, Arena – CASCAVELLE CD

Giovanna Casolla, Masako Deguci, Lando Bartolini, Francisco Heredia, Javier Mas, Vicenc Esteve            Alexander Rahbari        Malaga, 2001 – NAXOS CD

Maria Dragoni, Maria Luigia Borsi, Franco Farina           Keri Lynn Wilson          Teatro dei Quattromila, Torre del Lago Puccini

Maria Guleghina, Marina Poplavskaja, Marcello Giordani, Samuel Ramey         Andris Nelsons Metropolitan Opera House

 

DVD:        

Eva Marton, Katia Ricciarelli, José Carreras, John Paul Bogart  Lorin Maazel     TDK

Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Ivo Vinco  Maurizio Arena NVC Arts

Eva Marton, Leona Mitchell, Plácido Domingo, Paul Plishka       James Levine   Deutsche Grammophon

Giovanna Casolla, Barbara Frittoli, Sergej Larin, Carlo Colombara        Zubin Mehta     Warner Classics

Giovanna Casolla, Sandra Pacetti, Nicola Martinucci, Simon Yang         Carlo Palleschi  EMI

Maria Guleghina, Salvatore Licitra, Tamar Iveri, Luiz-Ottavio Faria        Giuliano Carella            Bel-Air Classiques

 



 

LE RIFLESSIONI di Lauretta:
 

L’Opera, intesa come Buona Musica, non può cambiare, perché è sacrosanta, straordinaria, eterna; però, come tutto, ha subito cambiamenti attraverso il tempo.

I grandi compositori che vi si sono avvicendati si chiamano Mozart, Beethoven, Wagner, Strauss, Verdi, Puccini, Donizetti, Ciaikovskij, …

L’Italiano è stato la lingua dei libretti dell’Opera Lirica (nata in Italia) anche dei compositori stranieri che, in seguito, traducevano nella propria lingua (soprattutto, Mozart).  

Però, tale “potere di supremazia” si è ridotto, per cui i libretti vengono scritti in varie lingue.   


Puccini vuole migliorare e raggiungere un rinnovamento incisivo autorevole e rispettato, per cui così scrive: < Rinnovarsi o morire? L’armonia di oggi e l’orchestra non sono le stesse … io mi riprometto, … se trovo il soggetto di far sempre meglio nella via che ho preso, sicuro di non rimanere nella retroguardia >.  

Quindi, Turandot, soggetto fiabesco (cosa Insolita per lui)   E’   la sfida di Puccini verso sé stesso: decide che sarà la sua opera più rappresentativa e originale, con pagine vive e ricche di ispirazione.      

Puccini, uno dei più grandi operisti, da persona unica e riflessiva, affronta ogni suo lavoro emotivamente con un’applicazione, un interesse, un attaccamento e una cura come li hanno pochi: anzi, Puccini è un compositore ineguagliabile.

 
L’opera “un po’ allegorica” TURANDOT è una fiaba ma, contemporaneamente, contiene un dramma reale perché presenziano le uccisioni dei principi che non sanno risolvere i tre enigmi (fra cui, il Principe di Persia) e il suicidio di Liù. 

Infatti, fin dall’inizio dell’opera, nonostante le melodie esotiche e solenni ci introducano nella magica “epoca delle favole”, si percepiscono la potenza, la crudeltà, l’arcano, portando alla tristezza della tragedia. 

 

Nel I atto dell’opera Turandot di Puccini, la popolazione inneggia alla Luna che, da sempre, ha affascinato tutti attraverso il cielo, la Scienza e la Poesia: la luna ci ha sempre offerto fenomeni fantastici come la Luna Bianca, la Luna Rossa, la Luna Blu, la Luna Grande, l’eclissi.

E, sempre in Turandot, la storia d’amore inizia solo al termine dell’opera, ma è doveroso ricordare che, chi propone a Puccini di trarre un’opera da una fiaba, è il giornalista e scrittore teatrale veneziano Renato Simoni che punta alla capacità del lavoro di dimostrare la < inverosimile umanità del fiabesco >, lavoro per cui lo stesso Puccini è entusiasta e riesce a mettere in evidenza la grande tragicità di Turandot.    

Pur essendo un’opera-fiaba “allegorica”, trasmette l’esempio fermo della competizione attraverso il dualismo maschile-femminile, giorno-notte, vita-morte, …

Turandot e Calaf significano la “guerra” fra la donna e l’uomo, arrivando al “compromesso” dell’Amore. 

Oltre ad essere “l’opera del Mistero” e delle contraddizioni. 

Affascinante, senza dubbio, mentre provoca interrogativi e riflessioni in chi la segue mentalmente: gli enigmi e lo scoprire il nome del Principe Ignoto, l’adozione da parte di Turandot dei segni bianco e nero (positivo e negativo), Turandot e la sua personalità, l’Amore, il finale dell’opera; tutti misteri da chiarire. 

“Qui termina la rappresentazione perchè a questo punto il Maestro è morto”.

E’ il 25 aprile 1926.    

Chi pronuncia queste parole è Arturo Toscanini che appoggia la bacchetta e interrompe  lo svolgimento della prima rappresentazione di “Turandot” di Puccini perché il Maestro l’ha  composta completamente fino alla morte di Liù, la fanciulla che, portata a spalle fra le quinte, personifica uno dei personaggi-simbolo femminili  pucciniani.

Il finale di Alfano presenzia nelle rappresentazioni delle sere seguenti, ma la direzione è di Ettore Panizza perché  Toscanini non dirigerà mai più l’opera.

Puccini compone il coro funebre per Liù e, secondo qualcuno, raggiunge “il massimo splendore della sua musica”, ma non continua perché, secondo lui, l’opera è ultimata.

Però, dopo la morte del compositore, in effetti, Turandot ha due finali: Alfano I e Alfano II.   

Il secondo, in realtà, dovrebbe imputarsi a Toscanini, visti i suoi robusti interventi nelle parti da eseguire per terminare i passi dell’opera: questo breve finale si dirige velocemente verso il lieto fine che conclude l’opera; finale che abbiamo sempre ascoltato.     

Nel 2001, si ha un nuovo finale di Turandot per merito di Luciano Berio (1925 – 2003) che  ha cercato di scovare il più possibile lo spirito e le intenzioni originarie di Puccini dai suoi appunti, per cui, nel suo finale, il suo stile viene evidenziato.   

Non è da dimenticare la versione del 1988 (mai eseguita) della studiosa statunitense Janet Maguire.

Per alcuni studiosi, l’opera resta incompiuta per l’impossibilità psicologica di Puccini di spiegarsi la trasformazione finale della fredda e sanguinaria Turandot in una donna capace di nutrire amore: il “bolide luminoso” di Puccini doveva trasformare la principessa “da dea assetata di sangue a donna innamorata e umana”.

Turandot, UN CAPOLAVORO ARTISTICO E MUSICALE per cui  Puccini ha capito molto bene “La passione amorosa di Turandot che, per tanto tempo, ha soffocato sotto la cenere del suo grande orgoglio”.


E’ EVIDENTE CHE PUCCINI HA VOLUTO COMPIERE UN MIRACOLO PSICOLOGICO DI GRANDE VALORE. 

FORSE, HA PRECORSO UN PO’ LA FANTASCIENZA.   

 

Calaf: 

L’alba dissolve le tenebre: questo esempio rappresenta Calaf.      

Contrariamente alle altre sue opere, Puccini, qui, rende fortissimo il personaggio maschile attraverso il trionfo dell’Amore, il trionfo della Vita.  

Calaf è il simbolo dell’Amore sotto vari aspetti, soprattutto dell’Amore verso il Prossimo: addirittura, da vincitore e con signorilità, non vuole che Turandot sia obbligata a concedersi e le rivela il suo nome, rischiando di perdere la vita.    


Calaf vuole vincere l’orgoglio e l’odio della sadica principessa, vuole vincere il suo freddo scudo di autodifesa e continua anche dopo che Turandot, malvagiamente, lo nota “sbiancato dalla paura” e  prosegue, volendo provocare nella principessa il senso dell’amore e della vita sulle cose cattive.   

Non è tanto la ragione logica che lo guida, ma i suoi impulsi ed emozioni equilibrati, unitamente al sacrificio di Liù: “L’Amore è un valore intenso e un sapere”.     


Mentre aspetta l’alba, Calaf  vede trascinati, presso la principessa, suo padre Timur e Liù.  

Liù è coraggiosa e non volendo fare soffrire Timur, dichiara di essere la sola a conoscere il nome del Principe Ignoto e, nonostante la tortura, rimane ferma sul suo comportamento, suscitando la curiosità di Turandot che le chiede come possa superare tale prova tremenda e priva di speranza.     

Nasce, quindi, il paragone fra le personalità di Liù e Turandot che genera una specie di sfida fra la schiava remissiva e Turandot, non disposta a cedere e con un carattere insolito per un personaggio pucciniano: infatti, Puccini vuole “nuovi” personaggi per la sua musica “nuova”.   


Calaf viene circondato dalla folla, con in testa, i tre Ministri Ping-Pong-Pang che lo vogliono persuadere di lasciare perdere tutto e di salvarsi assieme a Timur e a Liù. 

Però, Calaf è un eroe nato e rifiuta tutto ciò che gli viene offerto, implorando l’alba per trionfare sulla freddezza di Turandot.  

 

Liù: 

Risulta evidente che Puccini, mago del canto intenso interiore, è attratto dai personaggi femminili giovani che rinunciano alla vita lasciandosi andare o suicidandosi per amore, destando nello spettatore commozione (in Psicologia, sicuramente, freddamente, sarebbero definiti paranoici o delusi depressi).   


Liù, pur essendo innamorata “lucida” fino alla follia, attraverso la romanza “Tu che di gel sei cinta da tanta fiamma avvinta, l’amerai anche tu”,  è consapevole che morirà perché la principessa si arrenderà al principe ignoto.    

Oltre all’amore sentimentale, Liù NON vuole vedere il suo principe amare un’altra e si uccide col pugnale sottratto velocemente ad una guardia, provocando stupore, commozione e pietà.    

Liù, piccola grande donna costruita sull’esempio sacrificale di Ciò-Ciò-San, è solo una piccola schiava, sottomessa e semplice, ma è coerente, dignitosa, decisa; rappresenta l’Amore purissimo: infatti, generosamente, muore affinché il suo principe possa essere felice amando un’altra.  


Non si trova sulla stessa altezza di Turandot ma, prima di uccidersi, si rivolge a Turandot come se fosse tale e, per pochi attimi, la sua personalità si trova effettivamente sullo stesso livello di quello della principessa: infatti, la distanza sociale e di temperamento sono come annullate.   

Anzi, più precisamente, per pochi istanti la personalità di Liù domina addirittura quella di Turandot, in quanto  il suo interiore è proprio di una persona che SA amare il Prossimo, a differenza di Turandot.   


Che Liù dia prova suprema, sacrificando la propria vita in presenza di Turandot, è lampante e lo dimostra riconoscendo che la forza del suo amore le viene attraverso “Tanto amore segreto, e inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio Signore…”.   

Questo lascia la principessa smarrita perché non capisce come una umile schiava possa amare “l’uomo, il nemico del genere femminile”, fino a perdere la vita per lui (dopo la decisione presa già da tempo da Liù di esprimere che lei sola conosce il nome del Principe Ignoto).   

Non capisce visto che Liù non ha più speranza dal momento che Calaf ama Turandot: Turandot che dimentica che suo padre E’ UN UOMO e sua madre l’ha partorita GRAZIE AL SEME DI UN UOMO.     


Infatti, Liù, fanciulla dolce, umile, con abnegazione, essere umano ed eroina romantica, cede alla disperazione perché non vuole vedere la vittoria di Turandot e non sopporta di vedere il “suo” Principe fra le braccia di un’altra, per cui – nonostante lo voglia felice – preferisce morire: “Io chiudo stanca gli occhi perché egli vinca ancora… per non… per non vederlo piu!”.    


La sua morte contribuisce notevolmente al “disgelo” di Turandot: Il suo amore verso tutto e tutti rinasce in Turandot, come una reincarnazione.     


Ci si affeziona al personaggio di Liu’ perché LIU’ È IL SIMBOLO DELL’AMORE e DELLA BONTÀ.  

 

Turandot: 

La luna rappresenta Turandot, la bellissima, arida, crudele e distruttriva Principessa: candida, idealmente distante, con la sensazione di freddezza.

E’ talmente bella che riesce ad illuminare tutto e tutti, pur rappresentando la Morte, l’Egoismo, il Narcisismo, la Superiorità  e la Pazzia.   

Turandot UCCIDE per reazione ad un forte TRAUMA: nella sua grande aria, Turandot rende noto che ha ideato i tre quesiti per i prìncipi che vorrebbero sposarla.

Il motivo è una conseguenza a quanto successo “or son mill’anni e mille” ad una sua ava, Lo-u-Ling, una principessa sovrana preda del Re dei Tartari e da lui violentata e uccisa. 

Il momento particolare è ripetuto ed evidenziato sulla sua morte per volere di un uomo, “simbolo del male” e, in particolare, sul grido dell’ava dove rivive il momento tragico. 

Per cui, la frustrata Turandot, esprimendo la sua inflessibilità, vendica quella morte e ammonisce il Principe Ignoto che, se non risolve i tre enigmi, morirà: “Gli enigmi sono tre, la morte è una!“.  

Ma il Principe Ignoto, idem inflessibile, risponde “Gli enigmi sono tre, uno è la vita!“.  

Qui, interiormente, volendo imporsi l’una sull’altro, il conflitto e la competizione dei due risultano forti.      


Il Principe Ignoto risolve esattamente gli enigmi, Turandot è vinta e “annaspa”, invocando l’aiuto di suo padre, l’Imperatore, per non essere data ad uno straniero.  

Le viene risposto che deve rispettare il giuramento: Turandot, adirata e arrogante, si scaglia contro il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“. 

Il Principe Ignoto possiede una grande generosità d’animo che gli consiglia di rifiutare un’eventuale situazione, per cui sfida Turandot ad indovinare il suo nome prima dell’alba: in caso positivo per Turandot, egli morirà come se fosse stato sconfitto.

Turandot accetta e l’Imperatore è oggetto di plauso dalla folla. 


Compulsività di Turandot? 


Apro una parentesi per citare che si sono verificati casi, nella nostra società moderna, dove alcune persone se la prendono con chi non c’entra, ma solamente perché appartengono ad una categoria di esseri viventi: ad esempio, anni fa, una donna aveva fatto sesso con un uomo, in una stanza d’albergo, dopodiché – prima di andarsene e prima che l’uomo si svegliasse – ha scritto a mezzo di rossetto, sullo specchio: “Sono malata di AIDS”. 

Questo è stato un modo reattivo (sicuramente, compulsivo e seriale) di vendicarsi di un uomo che l’aveva fatta soffrire: chissà con quanti altri se l’è presa!    


Turandot è incuriosita dalla tenacia con cui Liù, socialmente inferiore a lei, sostiene la sfida di Calaf e, per la prima volta, tocca l’argomento Amore percependo che esiste un sentimento più forte della sua rabbia in corpo attraverso la risposta struggente della schiava che possiede un amore purissimo e sacrificale.    


Subito dopo la morte di Liù, durante il lamento funebre, Calaf, in preda al furore, quasi aggredisce Turandot e la costringe a vedere il sangue sparso da Liù, la costringe a scendere “sulla Terra” dal suo “tragico cielo” in cui si è “autoriparata”. 

Lei si sente spiazzata dal comportamento di Calaf, per cui gli fa presente la sua superiorità: “Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono. Son la figlia del Cielo, libera e pura”. 

Ma il principe, subito, passa al bacio, “profanandola” e provocando la caduta della sua ritrosia che annulla  per sempre la parte avversa di Turandot: “Che è mai di me? Perduta!”.


Psicologicamente, “la nuova Turandot” nasce dalla liberazione dal suo odio e dal suo gelo emotivo attraverso la reazione positiva ai suoi sentimenti negativi e dalla morte di Liù che le parla e si uccide. 

Calaf riesce nel suo scopo unendo – psicologicamente – il comando alla sua gentilezza d’animo quando “lo scudo di autodifesa” di Turandot si allenta, constatando che “Il gelo tuo è menzogna!” perché è pronta alla conversione della nuova personalità-nuova nascita, per cui Calaf canta “Mio fiore mattutino …”.    


Psichicamente, Turandot è nata essere normale, ma un forte trauma l’ha trasformata in un mostro umano perché è complessa, è devastante, per cui rappresenta il Nulla. 


E’ un personaggio con la mente scura, ermetica per cui, da psicologicamente fragile e sbilanciata, per lei, l’amore è violenza e terrore, verso il quale prova rigetto e rifiuto interiori. 


Ma, attraverso il bacio di Calaf, il ghiaccio di Turandot viene sciolto: Calaf le rivela il proprio nome nel culmine intenso del momento, consegnando la sua vita a lei. 

Turandot rivela all’imperatore e alla folla che il nome dello straniero è Amore, sortendo l’effetto di una grande felicità.  

 

TURANDOT E’ UN PERSONAGGIO INTERESSANTE CHE INTRIGA MOLTO. 

 

Timur:

Vecchio re spodestato, senza più patria, costretto ad errare. 

Affezionato a Liù, ossia “i suoi occhi”, rimane addoloratissimo quando muore: “Apri gli occhi, Colomba”. 

Vivrà con Calaf, nella reggia, ma i suoi giorni saranno alquanto tristi senza la sua Colomba.


Battuto al computer da Lauretta




 

 

CORO DEL POPOLO E DEGLI AIUTANTI DEL BOIA, “GIRA LA COTE!”: 

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ZUBIN MEHTA dirige il CORO “PERCHE’ TARDA LA LUNA?”:

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CORO “LA’, SUI MONTI DELL’EST” (melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua): 

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Il soprano ANNA NETREBKO canta “SIGNORE ASCOLTA”: 

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Il tenore FRANCO CORELLI canta “NON PIANGERE, LIU’”:   

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Guido Mazzini (Ping) Franco Ricciardi (Pang) Piero de Palma (Pong) cantano il TERZETTO DEI MANDARINI, “HO UNA CASA NELL’HONAN”:

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SECONDA PARTE DEL SECONDO ATTO con LA GRANDE ARIA DI TURANDOT (“IN QUESTA REGGIA”):

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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “NESSUN DORMA”: 

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “TANTO AMORE SEGRETO E INCONFESSATO … TU CHE DI GEL SEI CINTA”: 

 

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SCENA FINALE: 


IL TRITTICO PUCCINIANO: GIANNI SCHICCHI


Gianni Schicchi è un’opera comica in un atto di Giacomo Puccini, su libretto di Giovacchino Forzano (avvocato-giornalista-drammaturgo-regista-librettista) basato su un episodio del Canto XXX dell’Inferno della “Divina Commedia” di Dante.

E’ la terza opera appartenente al “Trittico”.

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan” di New York, 14 dicembre 1918.

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi”, Roma: 11 gennaio 1919.

 

Personaggi:

Gianni Schicchi, 50 anni (baritono)
Lauretta, sua figlia, 21 anni (soprano)
Zita detta “La Vecchia”, cugina di Buoso, 60 anni (contralto)
Rinuccio, nipote di Zita, 24 anni (tenore)
Gherardo, nipote di Buoso, 40 anni (tenore)
Nella, sua moglie, 34 anni (soprano)
Gherardino, loro figlio, 7 anni (soprano)
Betto Di Signa, cognato di Buoso, povero e malvestito, età indefinibile (basso)
Simone, cugino di Buoso, 70 anni (basso)
Marco, suo figlio, 45 anni (baritono)
La Ciesca, moglie di Marco, 38 anni (mezzosoprano)
Maestro Spinelloccio, medico (basso)
Messer Amantio Di Nicolao, notaro (baritono)
Pinellino, calzolaio (basso)
Guccio, tintore (basso) 



Personaggi e interpreti principali della prima rappresentazione, a New York: 

Gianni Schicchi (baritono) Giuseppe De Luca
Rinuccio (tenore) Giulio Crimi
Lauretta (soprano) Florence Easton
Gherardo (tenore) Angelo Badà
Zita (mezzosoprano) Kathleen Howard

 

Segnalazione della collocazione nel repertorio: 

Nel Trittico, nonostante Puccini decida che le tre opere vengano sempre rappresentate assieme e mai con  altre, da subito, Gianni Schicchi miete il maggiore successo, specialmente venendo rappresentata con opere come “Una tragedia fiorentina” di Alexander von Zemlinsky o “Alfred, Alfred” di Franco Donatoni.

 

Trama: 

Epoca storica: 1299.


Buoso Donati, è deceduto e, nella sua vita di mercante, ha accumulato ricchezze. 

I suoi parenti NON vogliono perdere tale capitale: infatti, Buoso lascia suo erede il vicino Convento di frati di Santa Reparata, ignorando i parenti che chiamano Gianni Schicchi, fornito di arguzia e intuizione, affinché li salvi, nella circostanza.    

La famiglia Donati, famiglia aristocratica fiorentina, si è sempre mostrata altezzosa verso di lui, uomo della <gente nova> (ossia, “un arricchito”) per cui, subito Schicchi rifiuta di dare il suo aiuto.   

Sua figlia Lauretta, è innamorata di Rinuccio, il giovane nipote di Buoso Donati e, nella romanza «O mio babbino caro», lo prega di ripensarci e di trovare una soluzione. 


Nessuno sa che Buoso è deceduto, per cui Gianni Schicchi fa trasportare la salma nella camera confinante, dopodiché lui si infilerà nel letto, imiterà la voce di Buoso e detterà il falso testamento al notaio che giungerà, là. 

Per “regolarità”, Schicchi fa presente ai parenti di Donati che rispetterà le aspirazioni di ognuno però ricorda l’inflessibilità della legge, che condanna all’esilio e al taglio della mano <chi fa sostituzione di persona in testamenti e lasciti, compresi i suoi complici >:

 «Addio Firenze, addio cielo divino
io ti saluto con questo moncherino
e vo randagio come un Ghibellino»


Schicchi lascia al notaio gli ultimi propositi e, una volta dichiarato di lasciare i beni più preziosi (ossia, “la migliore mula di Toscana, l’ambita casa di Firenze e i mulini di Signa” al suo “caro, devoto, affezionato amico Gianni Schicchi”), i parenti protestano urlando rabbiosamente. 

Per cui Schicchi li zittisce canticchiando il “motivo dell’esilio”, agitando la mano a mo’ di moncherino e li caccia dalla casa, ormai sua. 


Sul terrazzino, Lauretta e Rinuccio si abbracciano e ammirano lo scenario, ricordando l’inizio del loro amore. 

Gianni Schicchi sorridendo gradisce con attenzione la loro felicità, soddisfatto dalla sua stessa sottigliezza. 

 

Incisioni più note con: 

José van Dam, Angela Gheorghiu, Roberto Alagna
Juan Pons, Cecilia Gasdia, Jurij Marusin
Alberto Mastromarino, Amarilli Nizza, Andrea Giovanni
Leo Nucci, Nino Machaidze, Vittorio Grigolo 

 

Brani famosi: 

Firenze è come un albero fiorito (Rinuccio)
O mio babbino caro (Lauretta)
Ah! che zucconi! (Gianni Schicchi)
Addio, Firenze, addio cielo divino … (Gianni Schicchi)
Lauretta mia, saremo sempre qui (duetto finale Rinuccio-Lauretta)
Ditemi voi, signori, se i soldi di Buoso potevano finire meglio di così … (Gianni Schicchi, finale). 

 

 

 

 

LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Unica opera comica di Puccini – con melodie molto orecchiabili – è anche quella che desta maggiore simpatia, nel “Trittico”.

Il capitale di Buoso Donati è destinato al Convento dei Frati di Santa Reparata che, unicamente per informazione – odiernamente – si festeggia l’8 di ottobre.

Però, i parenti NON intendono perdere tale capitale e, da bravi rapaci, si muovono per trovare una soluzione che li accontenti assieme al loro disprezzo verso il merito della vita e il dramma luttuoso della morte.

Il nipote Rinuccio, interessato ad avere la sua parte per potere sposare Lauretta Schicchi, convince tutti i presenti dell’aiuto che lo stesso Gianni Schicchi può dar loro, esprimendo un inno a Firenze, Culla dell’Arte, e alle zone circostanti che sono vere bellezze della Natura: “Avete torto! … Firenze è come un albero fiorito …”. 

Gianni Schicchi rifiuta; Lauretta e Rinuccio sono delusi e disperati per non potersi sposare al Calendimaggio.

Ma la donna, in genere, è capace di essere scaltra, per cui – psicologicamente – Lauretta attua il “ricatto morale” al padre: “O mio babbino caro …”.  

Idem, psicologicamente, a questo punto, Schicchi accetta di risolvere il problema; risoluzione che diventerà una vera beffa rivolta agli eredi del Donati.

Per cui, Schicchi è condannato da Dante nella bolgia dei falsari per “falsificazione di persona”, ossia per aver imbrogliato gli altri prendendo il posto di Buoso Donati, il Vecchio. 

Infatti, quest’opera è tratta dal canto XXX dell’Inferno dove si racconta del protagonista, inserito da Dante nella bolgia dei falsari:

“E l’Aretin che rimase, tremando/ mi disse: ”< Quel folletto è Gianni Schicchi/ e va rabbioso altrui così conciando … Questa a peccar con esso così venne,/falsificando sé in altrui forma, come l’altro che là sen va, sostenne,/per guadagnar la donna de la torma,/falsificare in sé Buoso Donati,/testando e dando al testamento norma

(E Griffolino d’Arezzo, unico rimasto, tutto tremante, mi disse: “Quello spirito furioso è Gianni Schicchi, e va in giro così arrabbiato conciando in tal modo gli altri”…ella arrivò a commettere atti peccaminosi con lui, camuffandosi in un’altra donna, come fece anche l’altro, Gianni Schicchi, che se ne fugge da quella parte, che osò, per riuscire ad ottenere la più bella cavalla della mandria, fingere di essere Buoso Donati, dettando le norme al notaio e rendendo così legale il testamento”) >.


Molto bello il finale di Gianni Schicchi, dove il protagonista respira di sollievo perché “la masnada” se ne è andata, finalmente, mentre Rinuccio e Lauretta rivedono “la Firenze d’oro” e “la Fiesole bella” seguiti dallo sguardo di Schicchi lieto della loro felicità a cui ha contribuito notevolmente, per cui evidenzia di essere stato “cacciato” all’Inferno: “E così sia”. 

 … e continua nella sua riflessione-constatazione: “Ma con licenza del gran padre Dante, se stasera vi siete divertiti, concedetemi voi l’attenuante”.


Già: per Puccini, la terza cosa importante era proprio quella di fare ridere il pubblico.


Battuto al computer da Lauretta








 

VIDEO DELL’OPERA COMPLETA (edizione anno 1983) diretta da BRUNO BARTOLETTI presso il MAGGIO MUSICALE FIORENTINO.


Cantano:

Gianni Schicchi: Rolando Panerai
Lauretta: Cecilia Gasdia
Zita: Anna Di Stasio
Rinuccio: Alberto Cupido
Betto di Signa: Leonardo Monreale
Simone: Italo Tajo
Amantio di Nicolao:  Franco Calabrese



IL TRITTICO PUCCINIANO: SUOR ANGELICA


Opera in 1 atto su Libretto di Giovacchino Forzano, musica di Giacomo Puccini

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan”, New York, 14 dicembre 1918 

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi”, Roma, 11 gennaio 1919, diretta da Gino Marinuzzi, con Gilda Dalla Rizza alla presenza del compositore che ha aggiunto l’aria “Senza mamma” che, in seguito, diverrà famosa.

 


Personaggi: 

Suor Angelica (soprano)
La zia principessa (contralto)
La badessa (mezzosoprano)
La suora zelatrice (mezzosoprano)
La maestra delle novizie (mezzosoprano)
Suor Genovieffa (soprano)
Suor Osmina (soprano)
Suor Dolcina (soprano)
La suora infermiera (mezzosoprano)
Le cercatrici (soprani, coro)
Le novizie (soprani, coro)
Le converse (soprano e mezzosoprano, coro)
Coro interno di donne, ragazzi e uomini

Seconda opera appartenente al “Trittico”, le interpreti della prima rappresentazione sono Geraldine Farrar, Flora Perini e Minnie Egener.

E’ composta solo da personaggi femminili, mentre le voci maschili si odono solo alla fine, nel coro di angeli che portano suor Angelica in Cielo.

Fra le tre opere che compongono il Trittico, è la preferita da Puccini.


Il 1º maggio 1917, a mezzo di lettera, Puccini scrive a Pietro Panichelli (un frate domenicano, suo amico) che – dopo averlo aiutato per le capacità religiose dei suoni di “Tosca” – lo potrebbe aiutare anche qui: «Scrivo un’opera claustrale o monacale. Mi occorrono dunque diverse parole latine ad hoc. La mia scienza non arriva fino… al cielo vostro». 


Puccini è molto legato alla sorella Iginia, la quale è Madre Superiora nel Convento delle Monache Agostiniane della frazione di Vicopelago di Lucca. 

Lì, Puccini esegue l’opera al pianoforte facendola ascoltare a lei e alle monache, che provano una viva commozione.   

Per scrivere quest’opera, Puccini si avvale dell’aiuto della sorella che lo porta a conoscenza di come si svolge la vita nel convento; conoscenza che riporta fedelmente in questo suo lavoro tutto femminile.

 

Trama: 

Monastero presso Siena: fine del 1600. 

Suor Angelica conduce la vita monastica da sette anni: la sua famiglia aristocratica gliel’ha imposta a causa dell’avere commesso un “peccato d’amore”. 

Il bambino – appena nato – le viene strappato forzatamente e muore dopo cinque anni, ma Angelica non lo sa ancora.


La zia principessa, persona molto fredda e lontana, arriva in parlatorio per comunicare ad Angelica che NON l’ha raggiunta allo scopo di “perdonarla”, ma per pretendere la rinuncia della sua parte patrimoniale per darla in dote alla sorella minore Anna Viola che si sposerà abbastanza presto. 

Angelica ricorda la sua vita passata e, con l’occasione, si rivolge alla zia chiedendo notizie del suo bambino in modo persistente.  

Anaffettivamente, la zia le annuncia che, da oltre due anni, il piccolo è morto, a causa di una malattia seria. 

Angelica tracolla a terra, mentre la vecchia zia, ipocritamente, rende nota una preghiera silenziosa, e si allontana dopo poco che ha ottenuto la firma di rinuncia, mentre, nella suora disperata, si consolida il conseguenziale desiderio acuto e folle di raggiungere il suo bambino, per essere con lui, per sempre, nella morte.  


Per cui, durante la notte, Suor Angelica, esperta in erboristeria, si reca nell’orto del monastero dove raccoglie le erbe per preparare una bevanda letale.

Ne beve pochi sorsi, dopodiché è assalita dal terrore perché si rende conto di essere in peccato mortale, per cui si rivolge alla Vergine affinché le mostri un segno di grazia.

Il miracolo avviene: appare la Madonna che incoraggia il bambino ad andare fra le braccia stese della povera mamma in fin di vita che emette l’ultimo respiro. 

 

Brani celebri: 

Ave Maria (coro)
Il principe Gualtiero vostro padre … Nel silenzio di quei raccoglimenti (duetto tra la Zia Principessa e Suor Angelica)
Senza mamma (romanza di Suor Angelica)
Ah, son dannata! (finale) 

 

Incisioni più note con: 

Victoria de Los Ángeles, Renata Tebaldi, Katia Ricciarelli, Renata Scotto, Joan Sutherland, Lucia Popp, Mirella Freni, Amarilli Nizza, Barbara Frittoli.

 




LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Dei tre atti unici del “Trittico”, Puccini ama “Suor Angelica” più degli altri due perché riguarda il particolare tipo di Amore della protagonista, ossia il grande sentimento di rinuncia e di sacrificio. 

La caratteristica di Suor Angelica è di essere differente dalle altre protagoniste pucciniane che amano colpevolmente, altruisticamente o illusoriamente, ma riescono a gestire la propria vita. 

Però lei E’ COSTRETTA a NON amare perché NON le è permesso, dal momento che è segregata in convento dove espia la “COLPA” commessa alcuni anni prima Per Avere Amato Veramente. 


Purtroppo, secondo le regole dell’epoca, la donna era trattata come un oggetto e punita, NON tenendo conto del suo valore di DONNA sotto tanti aspetti: rischiare la propria vita per crearne un’altra, prendere su di sé il fardello della famiglia, …

Il dolore di Suor Angelica è il dolore di una giovane madre che ha perso il suo bambino da ben due anni e non sa niente perché la zia Principessa “comanda”, “dispone”.  

Infatti, la zia Principessa non è empatica e ha il grande desiderio di “risolvere la rinuncia ai beni” da parte di Angelica in favore della sorella Anna Viola: usanze del tempo, d’accordo, ma che definiscono UNA GRAVE OFFESA ALLA DIGNITA’ PERSONALE di Angelica e, chiaramente – di riflesso – della DONNA, in genere. 

Oggi, si può sporgere denuncia per avere la tutela da parte della Legge, per fortuna.


Tornando ad Angelica: CHI la tiene in vita è la sua personalità materna con il relativo istinto-amore, fino allo scattare della “molla” che – a causa di quanto le viene rivelato dalla zia Principessa – la fa riflettere sulla fine del suo bambino e le fa scatenare la decisione di raggiungerlo, in Paradiso. 


Infatti, poco prima di morire, la straziata Angelica ha l’esaltazione mistica secondo la quale si esprime così:  

. La grazia è discesa, dal cielo – già tutta già tutta m’accende – Risplende! Risplende! Risplende!

. . . . .

. Addio, buone sorelle, addio, addio! – Io vi lascio per sempre. – M’ha chiamata mio figlio!

. . . . .

. Addio, chiesetta! In te quanto ho pregato! – Buona accoglievi preghiere e pianti. – È discesa la grazia benedetta! – Muoio per lui e in ciel lo rivedrò!

 

 Angelica NON E’ UNA PERDENTE perché vivrà sempre col suo bambino.

Opera davvero delicata, possiede l’intermezzo che, assieme a quello di Manon Lescaut, si trova fra i più belli composti da Giacomo Puccini.


Battuto al computer da Lauretta



Il soprano JOAN SUTHERLAND canta “AVE MARIA e CORO”:

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Il soprano RENATA TEBALDI e il mezzosoprano GIULIETTA SIMIONATO cantano il duetto “IL PRINCIPE GUALTIERO, VOSTRO PADRE … NEL SILENZIO DI QUEI RACCOGLIMENTI”:   

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HERBERT VON KARAJAN dirige l’INTERMEZZO:

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Il soprano RENATA TEBALDI canta “SENZA MAMMA”:

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Il soprano MIRELLA FRENI e coro cantano “AH! SON DANNATA” e FINALE: 

   

IL TRITTICO PUCCINIANO: IL TABARRO


Opera in 1 atto su libretto di Giuseppe Adami (tratto da “La houppelande” di Didier Gold), musica di Giacomo Puccini  

Prima rappresentazione: Teatro “Metropolitan”, New York, 14 dicembre 1918

Prima rappresentazione italiana: Teatro “Costanzi” di Roma, 11 gennaio 1919 

Personaggi: 

Michele, padrone del barcone, 50 anni (baritono)
Luigi, scaricatore, 20 anni (tenore)
Il “Tinca”, scaricatore, 35 anni (tenore)
Il “Talpa”, scaricatore, 55 anni (basso)
Giorgetta, moglie di Michele, 25 anni (soprano)
La Frugola, moglie del “Talpa”, 50 anni (mezzosoprano)
Un venditore di canzonette (tenore)
Due amanti (soprano, tenore)
Scaricatori, Midinettes (coro)

Prima opera appartenente al “Trittico”, gli interpreti della prima rappresentazione sono il tenore Giulio Crimi nel ruolo di Luigi, Claudia Muzio come Giorgetta, Luigi Montesanto come Michele ed Angelo Badà come Tinca.

«Tutto è conteso, tutto ci è rapito.
La giornata è già buia alla mattina!
Hai ben ragione: meglio non pensare,
piegare il capo ed incurvar la schiena»
(Luigi) 

 

Trama: 

Epoca: 1910 circa, nei bassifondi di Parigi. 


Il tema che apre l’opera è associato alla Senna. 
Lo scenario vede scaricatori e popolane che vivono in riva al fiume. 

L’opera è verista, e la musica è seriamente drammatica, con assenza di melodie orecchiabili.

E’ la più scura delle opere di Puccini e, psicologicamente, si basa sulla dimensione temporale che interessa il fiume che scorre, il passare del tempo, le immagini del tramonto e l’autunno.

Presso la riva della Senna, è ormeggiato il vecchio barcone di Michele, il marito di Giorgetta, donna più giovane di lui di venticinque anni. 

Michele intuisce che il suo legame matrimoniale sta traballando e sospetta che la moglie, attraverso il suo comportamento sempre più inquieto e scostante, lo inganni con un altro uomo. 

Michele ha ragione: Giorgetta corrisponde le attenzioni di Luigi, uno scaricatore giovane di vent’anni che la raggiunge, però, ogni sera ad opera del segnale di un fiammifero acceso, nell’oscurità.  

Giorgetta dice: “Io capisco una musica sola: quella che fa danzare”, ed è la stessa musica che apre il suo appassionato duetto d’amore con Luigi. 

A poco a poco, Michele si disillude, ma non si arrende e stimola la moglie per ridestarle l’antica passione.  Le ricorda il loro bimbo vissuto troppo poco, quando si amavano: erano felici quando Giorgetta e il bambino cercavano rifugio nel suo tabarro. 

Michele prova a stringerla fra le braccia, ma Giorgetta – adducendo una scusa – si ritrae e torna nella sua stanza, aspettando che il marito si assopisca: quindi, lei incontrerà Luigi. 

Ma Michele NON scende nella stanza del barcone, preso a domandarsi chi possa essere il suo rivale, preda del desiderio della vendetta e si accende la pipa.  

Credendo che il segnale luminoso sia del fiammifero di Giorgetta, Luigi sale silenziosamente nel barcone, credendo di trovarci Giorgetta, ma Michele gli è sopra, l’immobilizza e con un urlo lo riconosce; poi lo afferra per la gola, lo obbliga a confessare il suo sentimento e lo strangola.   
Dopodiché, avvolge il corpo nel tabarro. 

Giorgetta torna in coperta a causa di un presentimento, ma Michele – che aveva agito trasportato dall’ira – apre il tabarro lasciando cadere il corpo esanime di Luigi.

 

Brani famosi: 

Hai ben ragione! meglio non pensare (“tirata” di Luigi)
È ben altro il mio sogno (romanza di Giorgetta)
Nulla! Silenzio! (romanza di Michele, nella prima versione: Scorri, fiume eterno)

 

Incisioni più note con: 

Tito Gobbi, Margaret Mas, Giacinto Prandelli.
Robert Merrill, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco.
Sherrill Milnes, Leontyne Price, Plácido Domingo.
Ingvar Wixell, Renata Scotto, Plácido Domingo.
Juan Pons, Mirella Freni, Giuseppe Giacomini.
Piero Cappuccilli, Sylvia Sass, Nicola Martinucci.
Juan Pons, Stephanie Friede, José Cura.
Alberto Mastromarino, Amarilli Nizza, Rubens Pelizzari. 

 

 

 


LE RIFLESSIONI di Lauretta: 

Probabilmente, Puccini ama la Francia, in particolare, Parigi: “La bohème”, “Il Tabarro”; “Manon Lescaut”, “La Rondine” (fuori Parigi), mentre il porto dal quale Manon salpa è Le Havre, nella parte Nord di tale Stato).

Per Puccini, l’ambiente è il vero protagonista; il suo interesse è la situazione psicologica che il fiume crea sui personaggi: “Quello che mi interessa è che la signora Senna mi diventi la vera protagonista del dramma“.

Il Tabarro: è un’opera attuale, non molto orecchiabile, tenebrosa, con cose negative che succedono nella vita, ha una vicenda violenta che può essere presente anche ai giorni nostri, nonostante la “fortuna” economica (“boom”) della seconda metà del 1900 che ha dominato la società umana.

Opera “scura”: sicuramente, la più scura musicata da Puccini, al contrario di Butterfly, Turandot, La bohème, …. 

Disperazione, carenza finanziaria, miseria e stanchezza morale: quest’opera potrebbe sembrare una specie di denuncia al potere autoritario per mezzo di un’eventuale immagine della corrente politica della Sinistra vista da parecchi; infatti, la vita di tutti questi uomini è tormentata.

Si tratta di povera gente frustrata, triste che può essere capace di buoni sentimenti, ma che è insoddisfatta, per cui si aggrappa alla “consolazione” alcolica per “dimenticare”, per avere una specie di “gratificazione morale”, ossia uscire dalla solita vita piena di guai, preoccupazioni.
Situazioni, specialmente, provocate, a loro volta, da situazioni infelici e da individui psicopatici narcisisti o affetti da disturbo paranoide di personalità, … 

Osservano regole legali obsolete, mentre vige la vittoria del più forte, senza tenere conto delle ragioni dei più deboli, a differenza della nostra epoca, in cui, ai problemi morali, si ovvia attraverso la terribile droga perché si è approfittato troppo dei Diritti.  


Il Tabarro: un’opera a cui Puccini ha prestato molta attenzione, possedendo una certa sensibilità verso la sofferenza umana. 

Sensibilità, la sua, che è quasi di tipo femminile: presente verso tutti, la si nota anche in altre opere come Manon-Des Grieux, La bohème, (tutti: IV atto, in particolare), Tosca (Tosca-Cavaradossi), Madama Butterfly (Cio-Cio-San), Suor Angelica (Angelica), Turandot (Liu’), La fanciulla del West (Minnie), La Rondine (Magda e Ruggero).

All’inizio dell’opera, si odono le voci degli scaricatori che lavorano e che, poi, riceveranno il vino offerto da Giorgetta.

A quel tempo, i Sindacati non avevano ancora sviluppato la loro forza attraverso l’adesione della Classe Lavoratrice e il brindisi degli scaricatori evidenzia lo stato emotivo non allegro dei personaggi.

Per Il Tinca, infatti: “in questo vino affogo i tristi pensieri”. – Ossia, per lui, il vino, “è l’ultima spiaggia”.  

Un organetto stonato accompagna gli scaricatori che ballano: loro “si divertono così”, da povera gente. 

 

Michele: 

Il barcone di Michele è quello tipico francese come ce ne sono stati tanti: vecchio modello, ma caratteristico. 

Michele dovrebbe essere l’unico che “sta bene,” economicamente, ma è tormentato a causa della morte del figlioletto e del sospetto tradimento della moglie, oltre dall’ambiente generale non sereno.
(Chiaramente, non si rende conto che la differenza d’età fra lui e Giorgetta può incrinare i buoni rapporti: oggi, sarebbe criticato come “pseudo-pedofilo”).

L’epilogo di quest’opera è l’omicidio-dramma della gelosia generato dal tradimento di Giorgetta verso il marito: l’assassino-Michele ha la vita peggiorata e si ritroverà solo ad affrontare i suoi guai giudiziari.

 

Giorgetta: 

Giorgetta: sposata a Michele, un uomo che potrebbe essere suo padre, si ritrova fra le braccia di Luigi, un uomo più giovane di lei di cinque anni, e presso il quale cerca soddisfazione sessuale.

Luigi, dipendente da lei, forse, soffre di dipendenza mammista-mammona (oppure sessuale), mettendo in pratica, inconsciamente, il “complesso di Edipo”. 

Riguardo al futuro con Giorgetta: il loro è solo puro fantasticare, senza sicurezza.

Con la Frugola, Giorgetta canta richiamando alla mente qualcosa che allontana dalla concretezza, mentre la Frugola sostiene che l’attesa della morte porta serenità (“e aspettar così la morte, c’è rimedio ad ogni male”): è una sua filosofia personale.

Giorgetta ricorda il periodo bello ed importante della sua vita trascorso nel quartiere di Belleville: Puccini entusiasma in modo armonioso sentimentale, caloroso, travolgente attraverso la melodia più bella di tutta l’opera perché questo ricordo dà sicurezza alla donna, in quanto rifugio mentale spensierato, contrariamente all’ossessione dovuta alla paura di venire scoperti, lei e Luigi.

Poco dopo, si ritrova con Luigi, ossia con “l’evasione-via di fuga” senza sentimento celeste interiore e ricorda la canzone della Frugola: “La liberazione che arriverà”. 

 

Luigi: 

Mentre il Tinca brinda, Luigi esprime brevemente che il dolore e l’inferno che vivono tutti i giorni sulla Terra, brevissima serenità nessuna salvezza: “Hai ben ragione”, ossia il suo inno alla disperazione, “…per noi la vita non ha più valore ed ogni gioia si converte in pena…l’ora dell’amore va rubata…va rubata tra spasimi e paure…tutto è conteso tutto ci è rapito…la giornata è già buia alla mattina”. 

Tali parole sono significative. 

La risposta gli arriva dal Tinca che lo incoraggia a bere.  

 

Il Tinca: 

Nella scena del brindisi vediamo che Il Tinca “risolve” col vino e suggerisce a Luigi di bere per ovviare alla tristezza e all’insoddisfazione. 

 

La Frugola: 

La Frugola è la moglie del Tinca, secondo la quale, “tutto ha la misura di un momento” ma, per lei, donna dall’umore triste, tutto è monotono: rivede la Senna, lo scarico e – chiaramente – le torna la depressione. 

La Frugola che mostra il suo pettine e i suoi oggetti in modo frenetico e delirante, che parla del suo gatto e le cose che raccatta, parlando di morte come “la liberazione che arriverà” (sorta di filosofia): il suo modo di pensare è dovuto all’educazione ricevuta nell’ambiente in cui è vissuta, ossia la famiglia e il fuori famiglia …

Opera verista tarda, da parte di un Puccini diverso dalle sue solite melodie orecchiabili, che intriga e affascina per via del suo dramma di violenza e morte: una storia cruda. 

IL TABARRO è un’opera-capolavoro di umanità e Psicologia, ambientato nella società umana del 1910, ma sempre fortemente attuale: oggi, sono cambiate alcune cose, ma la Storia si ripete attraverso gli eventi. 

E’ naturale provare sensibilità e solidarietà verso i personaggi-povera gente.


La musica, sin dall’inizio, è teatrale ed esprime l’anima dei personaggi dell’opera: si deduce chiaramente che il non più romantico-ma realista Puccini sfrutta la Psicanalisi che si afferma nel periodo di composizione de “Il Tabarro”; cosa che influisce sul teatro lirico e sull’interiorità dei personaggi, evidenziando le sensazioni, gli stati d’animo che rasentano “il nevrotico” e “lo psicotico, l’alienato”, specialmente dopo qualcosa di inguaribile che viene creato nel modo di vivere durante il Primo Conflitto Mondiale.  


E’ importante notare che, sotto l’aspetto psicologico, in quest’opera in un solo atto, si nota lo sconvolgente e straziato ritratto dell’uomo odierno ed evoluto, con le sue paure e le sue psicosi che causano alterazioni nella percezione o nell’interpretazione della realtà: cose che lo fanno sentire prigioniero di un nemico invisibile. 


Puccini, qui, precorre i tempi.

Puccini: un uomo sottile e molto profondo che SA TRASMETTERE.


Battuto al computer da Lauretta









Il tenore JONAS KAUFMANN canta HAI BEN RAGIONE!” MEGLIO NON PENSARE”:  https://youtu.be/YWPUBD4wH9A

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Il soprano MIRELLA FRENI e il tenore GIUSEPPE GIACOMINI cantano “È BEN ALTRO IL MIO SOGNO”:  https://youtu.be/qzIde7YR7Ho

 

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Il baritono PIERO CAPPUCCILI canta la romanza di Michele “NULLA! SILENZIO!” (nella prima versione, era “Scorri, fiume eterno”) :