venerdì 29 maggio 2009

RICORDANDO LE APERTURE DI STAGIONI LIRICHE: "DON CARLO" di GIUSEPPE VERDI

RICORDANDO LE APERTURE DI STAGIONI LIRICHE: DON CARLO

7 dicembre 2008 - DON CARLO di GIUSEPPE VERDI – INAUGURAZIONE DELLA STAGIONE LIRICA AL TEATRO “ALLA SCALA” di Milano - opera in quattro atti su Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle - traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini



PERSONAGGI ED INTERPRETI DEL CAST COMPLETO:


Filippo II = Ferruccio Furlanetto
Don Carlo = Stuart Neill
Rodrigo = Dalibor Jenis
Il grande inquisitore = Anatolij Kotscherga
Un frate = Diogenes Randes
Elisabetta di Valois = Fiorenza Cedolins
La principessa d'Eboli = Dolora Zajick
Tebaldo = Carla Di Censo
Conte di Lerma = Cristiano Cremonini
Araldo reale = Carlo Bosi
Voce dal cielo = Irena Bespalovaite
Sei deputati fiamminghi = Filippo Bettoschi, Davide Pelissero, Ernesto Panariello, Chae Jun Lim, Alessandro

Spina, Luciano Montanaro

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala diretti da DANIELE GATTI





Desiderando farlo conoscere, riporto quanto è stato scritto da NATALIA DI BARTOLO in occasione della rappresentazione d’apertura della Stagione Lirica al Teatro “ALLA SCALA” di Milano, 7 dicembre 2008:

MILANO: DON CARLO di Verdi alla SCALA…

…inaugura la Stagione Lirica 2008-09 il 7/12/08

Grande attesa al Teatro alla Scala di Milano per questa sofferta prima del “Don Carlo” di Giuseppe Verdi, Opera in quattro atti su Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle, traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini, nuova produzione del Teatro milanese, che si è tenuta a partire dalle 18 del 7 dicembre 2008 e che ha mobilitato non solo la Direzione del Teatro, che ha dovuto effettuare due sostituzioni d’interpreti all’ultimo momento, fra cui quella del protagonista Don Carlo, che è stato impersonato dal tenore Stuart Neill al posto di Giuseppe Filianoti (che voci di corridoio davano essere stato sostituito per aver steccato all’anteprima), ma stuoli di appassionati, loggionisti e non, nonché di semplici spettatori e, come sempre, di signore ingioiellate, lustre di visagisti e ingolfate in trine, sete e velluti di sartorie varie. Uno spettacolo nello spettacolo, ovviamente e come sempre: la prima della Scala è un avvenimento annuale da non perdere, anche per chi di Opera non mastichi una nota: l’importante è esserci.

Ma, a prescindere dal pubblico variopinto che ha affollato il teatro in ogni ordine di posti, con loggione strabordante e, come spesso accade, dissenziente a suon di fischi e “buh”, questa volta nei confronti del Direttore Daniele Gatti, forse anche per via della sostituzione a sorpresa del tenore, NON si può dire che questo “DON CARLO” sia stato un fiasco; tutt’altro: sarà stata l’atmosfera scaligera, come sempre un po’ “surriscaldata”, sarà stato il fascino che l’ “Opera Verdiana” porta in sé, certo è che in alcuni tratti ci si poteva anche sollevare un palmo dal velluto rosso della poltrona. - A tratti, appunto, perché tutti gli interpreti, sebbene corretti ed apprezzati, non erano della medesima “statura” vocale, scenica ed interpretativa ed erano diretti da una specie di “tiranno” Gatti, che tirava giù dritto alla grande, senza perdonare il minimo “rubato” di chicchessia, con il risultato poco convincente di lasciare così, per esempio, al primo atto, una battuta fuori tempo il pur ottimo Rodrigo, Marchese di Posa di Dalibor Jenis, che si è avvalso di una seguente, lunga pausa scritta per riprendersi.

Questo ed altri “nèi” nella direzione sono stati colti appieno dal pubblico degli intenditori, che non hanno esitato a dimostrare al Direttore il proprio disappunto, ascoltando un’ottima orchestra ben inquadrata sì, ma che, in alcuni tratti, costringeva a sua volta i cantanti ad un canto quasi solfeggiato; nonché un volume sonoro di improba altezza per gli interpreti sul palcoscenico. I coloriti, insomma, si sono lasciati desiderare, ma nel complesso il pubblico in maggioranza ha, alla fine, applaudito anche il Direttore.

In scena, la versione italiana del 1884 (la più concisa delle cinque conosciute) curata da Verdi per la Scala, in cui nel finale il fantasma di Carlo V chiama a sé il nipote nella tomba per sottrarlo ai Frati del Sant’Uffizio. E qui ci sarebbe da discutere, perché l’elisione del primo atto, a parere di chi scrive, “toglie” parecchio all’intero snodarsi della vicenda e anche priva lo spettatore di un bagaglio di ottima musica. Ma il Direttore Gatti ha tenuto ad “aprire due tagli”, che avrebbero dovuto essere tre, se la prevista rappresentazione dello scambio di veli tra Elisabetta ed Eboli, che prelude all’errore di persona da parte di Carlo, non fosse inspiegabilmente “saltata”. - Eseguito, invece, quello che segue la morte di Rodrigo, preso pari pari dall’edizione francese che lo prevede, ma che, tradotto in italiano, non ottiene, purtroppo, lo stesso effetto e, alla fine, un duetto alquanto “cavalleresco”, inserito a sua volta nel consueto duetto del quarto atto tra Carlo ed Elisabetta. Interessanti “divagazioni”…Però, a detta dello spettatore esigente, meglio tutto il primo atto, che tagli aperti un po’ qui ed un po’ lì. Ma ogni messa in scena di ogni Opera ha sempre i pro ed i contro del “ripescaggio” o del taglio: l’importante è che non si snaturi la trama; ed allora, sarebbe stato più gradito assistere all’inconsueto duetto Elisabetta-Eboli, se proprio qualche taglio si fosse voluto aprire. - Ma va da sé che ciascun direttore la pensi a modo proprio e, come questa volta, possibilmente abbia “ripensamenti” all’ultimo momento.

Ferruccio Furlanetto, “gran basso d.o.c.”, ha giganteggiato su tutti, tenendo in pugno l’intera rappresentazione, impersonando un Filippo II duro, dolente, amoroso, in fondo, ma monarca imbrigliato nelle fosche trame della Chiesa. Gran scena quella dell’ “Ella giammai m’amò”, che è culminata in un duetto-scontro tra bassi, con il Grande inquisitore Anatolij Kotscherga (che sostituiva Matti Salminen, indisposto), che non lesinava voce, possanza e prestanza fisica…Forse un po’ troppa, per un “Frate” novantaduenne e cieco, stranamente porporato in questa occasione.

Altra vera “perla”, la Elisabetta di Fiorenza Cedolins, bella e brava, espressiva e dolente, che ha saputo superare le improbe difficoltà di una tessitura musicale medio-bassa per un soprano lirico, che necessariamente deve sconfinare nel drammatico e che ha un ruolo di energica, spossante emissione.

Ulteriore stella, la mezzosoprano Dolora Zajick, evidentemente più a suo agio nei panni di Azucena, che in quelli della Principessa d’Eboli, che ha tuttavia saputo dar corpo al suo personaggio, con voce possente dai gravi perfettamente sostenuti e rotondi agli acuti limpidi e potenti, una rara capacità “mimetica”, che è propria solo delle grandi cantanti.

Che dire del tenore Stuart Neill, che si è ritrovato addosso il macigno di una prima alla Scala come protagonista dell’opera? Voce gradevole e limpida, dizione sufficientemente corretta, presenza scenica “pesante” alla Pavarotti, ma portata con una certa disinvoltura, ha saputo condurre al termine una recita che si presentava davvero come un crudele trabocchetto per se stesso e per la riuscita dell’intero spettacolo.

Altro cantante da apprezzare il baritono Dalibor Jenis, un Rodrigo che è andato crescendo nel corso della rappresentazione, insieme alla rappresentazione stessa, sia come voce, che come presenza scenica. La giovane età lascia ben sperare per il futuro; DIOGENE RANDES, un monaco-Carlo V, il paggio Tebaldo, Carla Di Censo; il Conte di Lerma, Cristiano Cremonini; l’Araldo reale, Carlo Bosi; la Voce dal cielo, Irena Bespalovaite; i sei deputati fiamminghi: Filippo Bettoschi, Davide Pelissero, Ernesto Panariello, Chae Jun Lim, Alessandro Spina, Luciano Montanaro. Gradevole il Coro, diretto da Bruno Casoni.

Scene scarne, quasi “monastiche” e accorta regia di Stéphane Braunschweig, che ha “inventato” una sorta di “alter ego bambino” per i tre protagonisti Carlo, Elisabetta e Posa, rendendo a tratti assai suggestiva la rappresentazione, come portando sul palcoscenico dei flash-backs dei personaggi principali, che si amavano ed agivano come avevano imparato a fare condividendo un’infanzia, se non “vicina” con gli altri due per Elisabetta, quanto meno “simile” e rendendo possibile un dialogo con se stessi, proprio dell’anima di ciascun protagonista; ed anche che Carlo-bambino venisse metaforicamente tolto di mezzo prematuramente dal padre, facendolo ardere nel rogo del solenne e tetro Auto da Fè.

Una regia che ha saputo, nonostante qualche momento di staticità, evidenziare l’eterno conflitto tra lo Stato e la Chiesa che è insito nell’Opera e che proviene dalla profonda e scettica genialità verdiana, anelante comunque e sempre alla conoscenza della verità della vita e della morte.

Gradevoli assai i costumi di Thibault van Craenenbroeck, ben calati nell’epoca e le adeguate luci di Marion Hewlett.

Insomma: una prima scaligera che non può passare inosservata, anche se non si effettuano i conteggi di quante volte sia stato rappresentato il Don Carlo alla “RIMA” e da chi sia stato diretto. Una gran “macchina”, che è riuscita, anche se non costantemente, a coinvolgere lo spettatore, che si è sorbito, senza colpo ferire né sbadiglio alcuno, le ben quattro ore e dieci minuti di spettacolo che la Scala ha offerto quest’anno non solo agli spettatori paganti, ma anche a quelli rimasti in casa, rendendo possibile la trasmissione dell’Opera via cinema, televisione e radio, per un potenziale pubblico di circa sessanta milioni di spettatori in tutto il mondo. Un esempio da imitare e ripetere.

Milano, Teatro alla Scala, 7 dicembre 2008

Natalia Di Bartolo

A PRESCINDERE da quanto sopra, DESIDERO DIRE ALCUNE COSE circa “DON CARLO” .

L’opera viene rappresentata a Parigi, l’11 marzo 1867, esattamente 16 anni dopo “RIGOLETTO”, e potrebbe essere possibile che cada sotto lo stile affascinante dominante all’ “Opéra” di Parigi, teatro per cui l’opera viene composta.

Il risultato è quello riconosciuto ad un’opera di grande importanza a causa dei grandi sviluppi dell’arte verdiana e a causa del suo grande e indiscusso valore: infatti, diciassette anni dopo, Verdi la revisiona eliminando i ballabili, snellendo alcune scene e tagliando l’intero primo atto.

È innegabile che l’aria di FILIPPO II, “Ella giammai m’amò”, sia tra le più belle del repertorio per basso dove emergono l’espressione nobile e il dolore accorato.

Fra le migliori arie di Verdi, c’è quella di ELISABETTA, nell’ultimo atto: ha respiro melodico e ricchezza dello sviluppo.

Da non dimenticare il duetto fra IL GRANDE INQUISITORE e FILIPPO II che colpisce per la potenza drammatica e con lo stile omogeneo.

Epoca: 1560.

Luogo: Spagna.

ATTO I

Dopo un breve coro di cacciatori che si allontanano, DON CARLOS (tenore), Infante di Spagna, s’incontra con la principessa ELISABETTA DI VALOIS (soprano), che gli è stata promessa in sposa. Egli le si presenta in incognito e fra i due giovani nasce una passione. Allora, Don Carlos rivela il proprio nome. Ma giunge un messo recante l’annuncio che ENRICO DI FRANCIA ha concesso Elisabetta in matrimonio a FILIPPO II di Spagna (basso), padre di Don Carlos, come suggello d’amicizia fra le due nazioni.

Elisabetta sacrifica il proprio amore per il bene del popolo. L’atto si chiude con un coro di esultanza, mentre Don Carlo – rimasto solo – è affranto dal dolore.

ATTO II

Parte Prima – Scena: Il chiostro del convento di San Giusto. - È l’alba. Dalla cappella giunge un coro di frati celebranti CARLO V, ivi sepolto. Allo spuntar del giorno giunge Don Carlo, disperato per la perdita di Elisabetta. Egli s’incontra con RODRIGO , MARCHESE DI POSA (baritono), suo intimo amico, con il quale si confida. Questi lo esorta ad allontanarsi dalla Spagna accogliendo l’invito del popolo fiammingo che lo invoca per essere liberato dall’oppressore.

Parte Seconda – Scena: Luogo ridente, alle porte del chiostro di San Giusto. – La principessa EBOLI (mezzosoprano) , attorniata da dame della regina e da paggi, canta la “Canzone del Velo”, di stile spagnoleggiante. - Viene Elisabetta e, poco dopo, Rodrigo, che le consegna di nascosto uno scritto di Carlo, il quale chiede di essere ricevuto dalla regina, prima di partire. Questa acconsente con trepidazione mentre Eboli, che pure ama segretamente Carlo, resta insospettita.

Quando Carlo si presenta alla regina, tutti si allontanano. Egli prega Elisabetta di ottenere dal re il permesso di partire in esilio per le Fiandre; poi tenta di riaccendere in lei la passione del primo incontro. Ma poiché la regina oppone un rifiuto, Carlo fugge disperato. – Sopraggiunge Filippo II con la corte. Costui condanna all’esilio la CONTESSA D’ARENBERG (mima), la dama di Elisabetta, per aver lasciata sola la regina. – Quindi, scorgendo Rodrigo, lo chiama e lo trattiene. Quest’ultimo si fa interprete delle sofferenze del popolo oppresso ed esorta il sovrano a regnare con spirito più magnanimo. Filippo lo chiama sognatore; tuttavia, stimandone le virtù morali, gli apre il proprio animo turbato da sospetti riguardo alla fedeltà della consorte e lo prega di scrutarne il cuore. Commosso per tanta fiducia, Rodrigo s’inginocchia e bacia la mano al sovrano.

ATTO III

Parte Prima – Scena: I giardini della regina a Madrid. – Don Carlo legge un biglietto anonimo che gli fissa un appuntamento notturno. Egi è convinto di incontrarsi con Elisabetta. Giunge, invece, Eboli coperta con un velo, la quale ama Carlo e si crede da lui riamata. – Quando ella scopre che Carlo è invaghito della regina, la gelosia e il furore prorompono dal suo animo. Interviene Rodrigo che cerca invano di placarla e, per salvare l’amico nel caso che Eboli lo facesse arrestare, si fa dare le carte compromettenti che questi ha seco.

Parte Seconda – Scena: Una gran piazza innanzi a Nostra Donna d’Atocha. – Un gruppo di condannati dal Sant’Uffizio viene condotto al rogo da un corteo di frati, fra due ali di popolo.

Si aprono le porte del palazzo ed esce la regina con la Corte, oltre a Rodrigo, la principessa Eboli, ecc. – Quando il corteo è davanti alla chiesa, si presenta al popolo il sovrano con la corona in capo. Egli incede sotto un baldacchino, tra i frati che lo accompagnano. Ai suoi piedi, si gettano all’improvviso sei deputati fiamminghi, condotti da Don Carlo e imploranti la salvezza della loro patria. – Interviene anche Don Carlo che chiede per sé il Brabante e le Fiandre. Al rifiuto del re, Carlo sguaina la spada. S’intromette Rodrigo che lo disarma consegnando la spada al sovrano, il quale per ricompensa nomina Rodrigo “DUCA DI POSA”.

Il corteo riprende il cammino per la cerimonia dell’ < auto-da-fè >, mentre le fiamme si alzano dal rogo dei condannati.

ATTO IV

Parte Prima – Scena: Il gabinetto del re a Madrid. – La principessa Eboli, per vendicarsi di Carlo, ha consegnato a Filippo un cofano in cui la regina racchiude le cose più care, affinché – aprendolo – il re scopra i segreti della propria consorte. – Frattanto, il sovrano – credendosi tradito – si abbandona a dolorose riflessioni e canta:

Ella giammai m’amò!

No! Quel cor chiuso è a me,

amor per me non ha, per me non ha!

Io la rivedo ancor

Contemplar triste in volto il mio crin bianco

Il dì che qui di Francia venne.

No, amor per me non ha!

(Incisioni più note: TANCREDI PASERO, CESARE SIEPI, NICOLA ROSSI LEMENI – Cetra; BORIS CHRISTOFF – Col.*; CESARE SIEPI, RAFFAELE ARIE’ – Decca; NAZARENO DE ANGELIS, TANCREDI PASERO, AUGUSTO BEUF – VDP*)

Entra IL GRANDE INQUISITORE (basso) mandato a chiamare dal re che gli confida la propria ambascia e gli chiede il consenso per condannare a morte Carlo. L’Inquisitore glielo concede ma, in cambio, chiede che egli muti la sua politica novatrice e liberale ispiratagli da Rodrigo. – Uscito l’Inquisitore, entra Elisabetta e implora giustizia per essere stata vessata dai cortigiani che, secondo lei, le hanno sottratto uno scrigno prezioso.

Il re, allora, presenta presenta lo scrigno alla consorte e le impone di aprirlo. Fra i gioielli ivi custoditi, appare il ritratto che Carlo le regalò durante il loro fidanzamento, per cui Filippo è convinto di aver la prova del tradimento di entrambi e insulta la regina che sviene.

Sopraggiunge Eboli, la quale è presa dal rimorso e confessa alla regina d’esser stata lei a sottrarre lo scrigno. Elisabetta, per punirla, le impone di partire per l’esilio o di prendere il velo. La scena si chiude con l’aria di Eboli < O don fatale, o don crudele >:

Ah! Più non vedrò la regina!

O don fatale, o don crudele

Che in suo furor mi fece il cielo!

Tu che ci fai si vane, altere!

Ti maledico, o mia beltà!

(Incisioni più note: EBE STIGNANI, ELENA NICOLAI- Cetra)

Parte Seconda – Scena: La prigione di Don Carlo. – Rodrigo viene per annunciare a Carlo, imprigionato, la sua liberazione e gli narra d’essersi fatto cogliere con le carte compromettenti che Carlo gli aveva dato, per cui non tarderà ad essere condannato a morte sotto l’accusa di aver ordito la ribellione nelle Fiandre. Infatti, poco dopo, uno sgherro del Sant’Uffizio lo colpisce proditoriamente con un colpo d’archibugio. Rodrigo spira fra le braccia dell’amico confidandogli che Elisabetta lo attenderà, l’indomani, a San Giusto. Il re sopraggiunge per liberare il figlio che – frattanto – gli svela il nobile sacrificio di Rodrigo.

Ma ecco un tumulto sollevarsi all’esterno: è il popolo che insorge in favore di Carlo e irrompe nel carcere nel tentativo di liberarlo. – Fra la moltitudine, si cela anche Eboli, mascherata. Ella cerca di farlo fuggire, ma interviene Il Grande Inquisitore che soggioga il popolo e lo costringe a prostrarsi innanzi a Filippo.

ATTO V

Scena: Il chiostro del convento di San Giusto. - È notte. Elisabetta prega sulla tomba di CARLO V e ne invoca lo spirito affinché protegga la vita dell’Infante (è chiamata “la grande aria di Elisabetta”):

Tu che le vanità conoscesti del mondo

E godi nell’avel il riposo profondo,

s’ancor si piange il cielo

piangi sul mio dolore,

e porta il pianto mio

al trono del Signor.

(Incisioni più note: MILLI VITALE – Cetra*)

Carlo viene a dare l’estremo addio a Elisabetta, prima di partire per le Fiandre. Ambedue son sorpresi da Filippo e dall’Inquisitore che chiama le guardie per far arrestare Carlo. Ma si apre il cancello del mausoleo e appare Carlo V, il quale trascina l’Infante nella sua Tomba.

(Edizione Ricordi)

Incisioni dell’opera completa:

MARIA CANIGLIA (S), EBE STIGNANI (MS), MIRTO PICCHI (T), PAOLO SILVERI (Br), NICOLA ROSSI LEMENI (Bs) – Dir.: FERNANDO PREVITALI – Coro e Orchestra della R.A.I. di Roma – Cetra

ANTONIETTA STELLA (S), ELENA NICOLA (MS), MARIO FILIPPESCHI (T), TITO GOBBI (Br), BORIS CHRISTOFF (Bs), -

Dir.: GABRIELE SANTINI – Coro e Orchestra dell’OPERA di Roma - VDP

Laura Rocatello

mercoledì 6 maggio 2009

RICORDANDO LE APERTURE DI STAGIONI LIRICHE: "OTELLO" di GIUSEPPE VERDI

RICORDANDO LE APERTURE DI STAGIONI LIRICHE: OTELLO

Dramma lirico in quattro atti - libretto/testo di ARRIGO BOITO (dalla tragedia omonima di WILLIAM SHAKESPEARE) – musica di GIUSEPPE VERDI - (durata: 3 ore [intervallo incluso])

APERTURA DELLA STAGIONE LIRICA: sabato, 6 dicembre 2008 - ore 20.30

PERSONAGGI e INTERPRETI:

Otello = Aleksandrs Antonenko

Desdemona = Marina Poplavskaya

Jago = Giovanni Meoni

Lodovico = Giovanni Battista Parodi

Emilia = Barbara Di Castri

Cassio = Roberto De Biasio

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL'OPERA DI ROMA

Maestro concertatore e Direttore: RICCARDO MUTI

Maestro del Coro: ANDREA GIORGI

Regìa: STEPHEN LANGRIDGE

Scene: GEORGE SOUGLIDES

Costumi: EMMA RYOTT

Movimenti coreografici: PHILLIPPE ALBERT GIRAUDEAU

Disegno luci: GIUSEPPE DI IORIO

Coro di Voci Bianche dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia e del Teatro dell'Opera diretto da José Maria Sciutto

Nuovo allestimento in co-produzione con il Festival di Salisburgo

Dopo “AIDA”, ultimata nel 1870 (rappresentata per la PRIMA volta al “NUOVO TEATRO” de Il Cairo il 24 dicembre 1871), ci fu una lunga pausa nella produzione operistica di Verdi. – Sembrava che considerasse terminata la sua carriera di compositore; veramente, stava attraversando un periodo torturante di studio e di meditazione durante il quale si decisero le nuove posizioni della sua arte. – Molti fra i più giovani compositori italiani si erano lasciati trasportare dall’entusiasmo suscitato dalle riforme wagneriane e Verdi intuì il pericolo che il dramma musicale del compositore tedesco poteva rappresentare per la vita dell’opera italiana, per cui non rimase insensibile agli stimoli che gli venivano per intraprendere il rinnovamento del melodramma italiano senza alterarne il carattere e gli aspetti basilari, avendo la possibilità di penetrare più a fondo le debolezze dell’opera italiana sotto gli aspetti letterario e drammatico che si espressero nei due altissimi capolavori “OTELLO” e “FALSTAFF”.

ARRIGO BOITO e GIUSEPPE VERDI si conobbero ai primi del 1860 e, da principio, la divergenza fra i loro punti di vista fu troppo grande per consentire una qualunque collaborazione fra loro che – comunque – nel 1879 fu resa possibile dall’Editore RICORDI che, ricorrendo ad uno stratagemma, interessò Verdi al libretto dell’OTELLO abbozzato da Boito.

Boito si mantenne molto fedele al lavoro shakespeariano, “teatro” per cui aveva sempre dimostrato grande interesse (ricordiamo “MACBETH” del 1847) ma, facendo iniziare il dramma immediatamente prima della “catastrofe”, “concentrò” l’intreccio e tralasciò personaggi minori.

“OTELLO”, soggetto difficile, rivela alcuni cambiamenti nell’espressione musicale di Verdi, dove il musicista conserva la sua personalità: quella di essere pur sempre, nonostante la tarda età, il grande maestro della melodia, mentre i suoi motivi non perdono nulla del loro entusiasmo e del loro colore, pur non esprimendo più la tensione determinata dagli scoppi passionali dei personaggi descrivendo – invece - tutte le loro sfumature spirituali in modo diretto e malleabile abbandonando il “motivo conduttore” (ad esempio: Jago: ha uno stile decisamente “recitativo”; Otello: ha uno stile “arioso” molto simile alla vera aria = in questo modo, la fredda astuzia di Jago viene opposta efficacemente alla emozionalità di Otello). – Concludendo: “OTELLO” è un’ effettiva opera italiana dopo un’attenta osservazione di Verdi all’opera wagneriana.

Riprendendo quanto sta un po’ indietro, al compositore piacque il soggetto scritto da ARRIGO BOITO e, per la fine del 1886, la partitura era pronta (inizialmente, era stata scritta per due baritoni ma, poi, per fare una distinzione fra i due timbri vocali, Verdi rese Otello “TENORE DRAMMATICO”). - Dopo due mesi dal debutto scaligero (5 febbraio 1887) e, dopo nove anni di lavoro da parte di Verdi, la PRIMA esecuzione era stata attesa con il più vivo interesse da tutto il mondo musicale, venendo interpretata da FRANCESCO TAMAGNO [Otello], ROMILDA PANTALEONI [Desdemona], VICTOR MAUREL [Jago], FRANCESCO NAVARRINI [Cassio], FRANCO FACCIO (Direttore d’orchestra): il SUCCESSO dell’opera fu CLAMOROSO.

Il 17 aprile dello stesso anno “OTELLO” giunge al Teatro Costanzi. - Il Direttore è, idem, FRANCO FACCIO. I protagonisti sono FRANCESCO TAMAGNO (Otello), VICTOR MAUREL (Jago), GIOVANNI PAROLI (Cassio), ADALGISA GABBI (Desdemona). - Nelle successive edizioni questo titolo ha aperto molte volte la stagione: RENATA TEBALDI vi debutta nel ruolo di Desdemona nell’inaugurazione del 1947-48. Memorabile la ripresa del 1953-54 con un cast d’eccezione: RENATA TEBALDI, MARIO DEL MONACO, TITO GOBBI. È dal 1976 che “OTELLO non viene riproposto al Teatro “ALLA SCALA” (qui, cantavano PLACIDO DOMINGO, MIRELLA FRENI, PIERO CAPPUCCILLI = tutti sotto la direzione d’orchestra del grande CARLOS KLEIBER).

A proposito di interpreti di questo “OTELLO” romano, fra loro ho ascoltato il baritono GIOVANNI MEONI, “JAGO” = il Maestro RICCARDO MUTI non ha deciso per LA RISATA DIABOLICA al termine del “CREDO”, nel secondo atto: mi è dispiaciuto molto perché “CREDO FERMAMENTE” che Giovanni (conoscendolo) avrebbe potuto dare molto al suo pubblico. - Io e Giovanni ci conosciamo dal 1994 (Annicco e Darfo Boario Terme, in Provincia di Brescia). – In queste due serate, era presente (mi sembra che fosse l’insegnante di Meoni) il grande ALDO PROTTI (definito LA Più BELLA VOCE DI BARITONO DEL 1900”: fra parentesi, per lui e per sua moglie [il mezzo soprano giapponese MASAKO TANAKA], ero come una figlia [per l’esattezza, Aldo era nato tre mesi e tre giorni prima di mio padre]).

Conclusione: a Roma, la serata dell’inaugurazione della Stagione Lirica ha decretato a quest’opera un grande tributo per mezzo degli applausi e delle battute di piedi sul pavimento, segni evidentissimi di grandi ovazioni. - Ad ogni modo, ha ricevuto anche una buona critica attraverso i messaggini arrivati al conduttore radiofonico “in diretta” e – il lunedì seguente - dalla trasmissione radiofonica “LA BARCACCIA”, in onda dal lunedì al venerdì su R.A.I. RADIO3 dalle ore 13 alle ore 13,45, condotta dai due valentissimi MICHELE SUOZZO ed ENRICO STINCHELLI (tenore [allievo del baritono GIUSEPPE TADDEI, dettoPEPPINO TADDEI”], direttore d’orchestra, giornalista e conduttore). - (A proposito di GIUSEPPE TADDEI: le mie prime edizioni [“33 giri”] de “La bohème e di “MADAMA BUTTERFLY” di Puccini vedono questo “GRANDE” nelle vesti rispettivamente di “MARCELLO” e di “SHARPLESS”).

Epoca: Fine del XV secolo.

Luogo: Un porto di mare a Cipro.

ATTO I

Scena: Spiazzo davanti al castello del governatore. - Sulla spiaggia, una folla osserva ansiosamente una flotta che cerca di entrare in porto lottando contro una violenta tempesta. – A bordo di una delle navi, il governatore moro di Cipro, OTELLO (tenore), sta tornando vittorioso dalla guerra contro i Turchi. – Tutti invocano su di lui la protezione di Dio, eccettuato l’alfiere JAGO (baritono), il quale odia Otello perché questi – nel passato – gli ha negato la promozione favorendo il capitano CASSIO (tenore), suo collega.

La flotta entra in porto sana e salva e Otello è salutato con entusiasmo: Esultate! L’orgoglio musulmano sepolto è in mar, nostra e del Ciel è gloria! Dopo l’armi lo vinse l’uragano”. - Ma ha appena messo piede nel castello che già Jago comincia a tramare contro di lui. Jago dice a RODERIGO (tenore), innamorato della moglie di Otello, DESDEMONA (soprano) che anche Cassio nutre per la donna i suoi stessi sentimenti e lo istiga a fare ubriacare il capitano.

Quindi, Jago provoca una disputa fra Cassio e Montano (basso), predecessore di Otello come governatore; la lite finisce in un duello, nel quale Montano rimane ferito. Otello si adira al punto da privare Cassio del grado di capitano.

Desdemona esce a salutare il consorte e canta con lui il famoso duetto d’amore:


otello:

Già nella notte densa s’estingue ogni clamor,

già il mio cor fremebondo

s’ammansa in quest’amplesso e si rinsensa.

Tuoni la guerra e s’inabissi il mondo

se dopo l’ira immensa

vien questo immenso amor!



desdemona:

Mio suberbo guerrier! Quanti tormenti,

quanti mesti sospiri e quanta speme

ci condusse ai soavi abbracciamenti!

Oh! Com’è dolce il mormorare insieme:

te ne rammenti!

Quando narravi l’esule tua vita

e i fieri eventi e i lunghi tuoi dolor,

ed io t’udìa coll’anima rapita

in quei spaventi e coll’estasi in cor.


Otello:

Pingea dell’armi il fremito, la pugna

E il vol gagliardo alla breccia mortal,

l’assalto, orribil edera, coll’ugna

al baluardo e il sibilante stral.



desdemona:

Poi mi guidavi ai fulgidi deserti,

all’arse arene, al tuo materno suol;

narravi allor gli spasimi sofferti

e le catene e dello schiavo il duol.


otello:


Ingentilìa di lagrime la storia

Il tuo bel viso e il labbro di sospir;

scendean sulle mie tenebre la gloria,

il paradiso e gli astri a benedir.


desdemona:

Ed io vedea fra le tue tempie oscure


splender del genio l’eterea beltà.



otello:


E tu m’amavi per le mie sventure

ed io t’amavo per la tua pietà.


desdemona:

Ed io t’amavo per le tue sventure

e tu m’amavi per la mia pietà.



otello:

Venga la morte! E mi colga nell’estasi

di quest’amplesso

il momento supremo!

(Il cielo si è rasserenato: si vedono alcune stelle e sul lembo dell’orizzonte il riflesso ceruleo della nascente luna).

Tale è il gaudio dell’anima che temo,

Temo che più non mi sarà concesso

Quest’attimo divino

Nell’ignoto avvenir del mio destino.


desdemona:

Disperda il ciel gli affanni

E Amor non muti col mutar degli anni.


otello:

A questa tua preghiera

Amen risponda la celeste schiera.


desdemona:

Amen risponda.


otello (appoggiandosi ad un rialzo degli spalti):

Ah! La gioia m’inonda

Si fieramente … che ansante mi giaccio

Un bacio …


desdemona:

Otello! …


Otello:

Un bacio … ancora un bacio.

(alzandosi e fissando una plaga del cielo stellato)

Già la Pléiade ardente al mar discende.


desdemona:

Tarda è la notte.


otello:

Vien … Venere splende.

(s’avviano abbracciati verso il castello).

(Incisioni più note: CLAUDIA MUZIO e FRANCESCO MERLI [Col.]; RENATA TEBALDI e MARIO DEL MONACO [Decca]; ELEANOR STEBER e RAMON VINAY [Philips]; MARGARET SHERIDAN e RENATO ZANELLI, MARIA CANIGLIA e GIACOMO LAURI-VOLPI, RINA GIGLI e BENIAMINO GIGLI [VDP]).

ATTO II

Scena: Una sala nel castello. – Jago, fingendosi amico di Cassio, lo induce a chiedere a Desdemona di perorare la sua causa presso Otello. Jago, rimasto solo, svela il proprio cinico atteggiamento verso la vita in un “CREDO”:

jago:

(seguendo con l’occhio Cassio)

Vanne; la tua meta già vedo.

Ti spinge il tuo dimone,

e il tuo dimon son io.

E me trascina il mio, nel quale io credo

inesorato Iddio.

(allontanandosi dal verone senza più guardar Cassio che scompare fra gli alberi)

. Credo in un Dio crudel che m’ha creato

simile a sé, e che nell’ira io nomo.

. Dalla viltà d’un germe o d’un atòmo

vile son nato.

. Son scellerato perché son uomo;

e sento il fango originario in me.

. Sì! Quest’è la mia fè!

. Credo con fermo cuor, siccome crede

La vedovella al tempio,

che il mal ch’io penso e che da me procede

per mio destino adempio.

. Credo che il giusto è un istrion beffardo

E nel viso e nel cuor,

che tutto è in lui bugiardo:

Lagrima, bacio, sguardo,

sacrificio ed onor.

. E credo l’uom gioco d’iniqua sorte

Dal germe della culla

Al verme dell’avel.

. Vien dopo tanta irrision la Morte.

. E poi? – La Morte è il Nulla.

(forte intervallo musicale)

È vecchia fola il Ciel.

(è quasi un “urlo” musicale)

AHAHAHAHAHAH!

(Jago ride satanicamente)

(Incisioni più note: ALEXANDER SVED, CARLO TAGLIABUE [Cetra], PAOLO SILVERI, GIANPIERO MALASPINA [Col.], PAUL SCHOEFFLER [Decca], GINO BECHI, TITTA RUFFO, TITO GOBBI, BENVENUTO FRANCI [VDP]).

Con diabolica astuzia, Jago induce Otello a credere che fra Desdemona e Cassio esista una relazione illecita e, quando la donna tenta di perorare la causa di Cassio, il marito la respinge duramente.

Jago comincia a tramare un nuovo intrigo: fa sottrarre dalla propria consorte EMILIA (mezzosoprano) un fazzoletto a Desdemona e, avutolo, se lo mette in tasca. Quando le due donne sono uscite, egli continua la sua opera d’istigazione con Otello, raccontandogli dei convegni segreti di Desdemona e Cassio.

Otello si rifiuta di credervi (“Per l’universo! Credo leale Desdemona e credo che non lo sia; te credo onesto e credo disleale … La prova io voglio! Voglio la certezza!”) e – afferrato Jago per la gola – gli domanda una prova. L’altro gli dice di avere visto il fazzoletto di Desdemona nella camera di Cassio. In un impeto di furore, Otello giura di vendicarsi della consorte e di Cassio (Sì, pel ciel marmoreo giuro…).

ATTO III

Scena: Il salone del castello. – Quando Desdemona intercede di nuovo presso il marito per Cassio, per tutta risposta Otello le chiede di mostrargli il fazzoletto regalatole da lui. La donna non riesce a trovarlo ed egli la manda via.

Jago ha trascinato Cassio in una conversazione licenziosa a proposito di una cortigiana di nome Bianca, ma la conduce in modo che Otello, il quale sta ascoltando non visto, pensi che essi stiano parlando di sua moglie. Quando Cassio tira fuori il fazzoletto di Desdemona (che Jago ha avuto l’accortezza di fargli trovare in camera), Otello, folle di gelosia decide di uccidere la consorte.

Otello la scaglia a terra.

emilia:

(Quella innocente un fremito

d’odio non ha, nè un gesto,

trattiene in petto il gomito

con doloroso fren.

La lagrima si frange

muta sul volto mesto:

no, chi per lei non piange

non ha pietade in sen).

L’ambasciatore LODOVICO (basso) giunge per informare Otello che il Senato lo ha richiamato a Venezia e che Cassio dovrà sostituirlo nei suoi uffici. Jago, temendo di veder naufragare i propri piani, fa notare a Roderigo che, qualora Otello parta, egli non rivedrà mai più Desdemona; ma se Cassio dovesse morire, allora Otello non potrebbe partire.

Roderigo decide di uccidere Cassio. Al cospetto di tutti, Otello insulta la moglie e la scaglia brutalmente a terra, poi fa sgombrare la sala e cade in convulsioni. Jago rimane ad osservarlo con scherno.

ATTO IV

Scena: La camera da letto di Desdemona. – Desdemona è profondamente afflitta dall’atteggiamento del marito di cui non sa rendersi ragione e canta la famosa “CANZONE DEL SALICE”, simboleggiante l’amore misconosciuto e la morte prematura:

desdemona:

………………

< Piangea cantando

nell’erma landa …

piangea la mesta …

O Salce! Salce! Salce!

Sedea chinando

Sul sen la testa!

Salce! Salce! Salce!

Cantiamo! Il Salce funebre

Sarà la mia ghirlanda. >

(Incisioni più note: MARIA PEDRINI, ROSANNA CARTERI [Cetra], RENATA TEBALDI [Decca], ROSA PONSELLE, ELISABETH RETHBERG [VDP]).

Prima di coricarsi, dice le orazioni (la famosa “AVE MARIA”):

desdemona:

………………

Prega per chi adorando a te si prostra,

prega pel peccator, per l’innocente,

e pel debole oppresso e pel possente,

misero anch’esso, tua pietà dimostra.

Prega per chi sotto l’oltraggio piega

La fronte e sotto la malvagia sorte;

per noi tu prega

sempre e nell’ora della nostra morte.

(Resta ancora inginocchiata ed appoggia la fronte sull’inginocchiatoio come chi ripete mentalmente un’orazione. Non s’odono che le prime e le ultime parole della preghiera)

Ave Maria ...

… nell’ora della morte.

Amen.

(s’alza e va a coricarsi)

(Incisioni più note: ONELIA FINESCHI, MARIA PEDRINI, ROSANNA CARTERI [Cetra]; CARLA MARTINIS, ROSETTA PAMPANINI [Col.]; RENATA TEBALDI [DECCA]; ROSA PONSELLE, ELISABETH RETHBERG, MARGARETH SHERIDAN, MAFALDA FAVERO, MARIA CANIGLIA [VDP]).

Giunge Otello. Sveglia la moglie con un bacio e le dice di prepararsi a morire come punizione alla sua infedeltà. Mentre ella giura d’essere innocente, l’uomo la strangola.

Entra Emilia di corsa e annuncia che Roderigo è rimasto ucciso nel tentativo di assassinare Cassio. Quando vede il corpo inanimato di Desdemona, grida istericamente a Otello che sua moglie era innocente e che Jago lo aveva tratto in inganno.

Giunge Jago e, malgrado le sue minacce, la donna ne rivela gli intrighi. Sopraggiunge altra gente con la notizia che Roderigo ha confessato ogni cosa prima di morire.

Jago non ha nulla da dire a propria discolpa e fugge, inseguito dalle guardie del castello.

Fuori di sé per la disperazione, Otello dà un ultimo bacio alla moglie e si immerge il pugnale nella gola.

(Edizione Ricordi).

Incisioni dell’opera completa:

- CARLOS GUICHANDOUT (T), CESY BROGGINI (S), GIUSEPPE TADDEI (Br)

- Dir.: FRANCO CAPUANA – Coro e Orchestra R.A.I., Torino (Cetra)

- RAMON VINAY (T), HERVA NELLI (S), GIUSEPPE VALDENGO (Br)

- Dir.: ARTURO TOSCANINI – Coro e N.B.S. Symphony Orchestra (RCA)

- MARIO DEL MONACO (T), RENATA TEBALDI (S), ALDO PROTTI (Br)

- Dir.: ALBERTO EREDE – Coro e Orchestra di Santa Cecilia, Roma (Decca)

- JON VICKERS (T), LEONIE RYSANEK (T), TITO GOBBI (Br)

- Dir.: TULLIO SERAFIN – Coro e Orchestra dell’OPERA di Roma (RCA)

Laura Rocatello