sabato 13 giugno 2009

T h a ï s

Commedia lirica in tre atti e sette quadri - Libretto di Louis Gallet (dall’omonimo romanzo di Anatole France)

Musica di Jules Massenet

Personaggi Interpreti:

Thaïs, commediante e cortigiana = Barbara Frittoli

Athanaël, cenobita = Lado Ataneli

Nicias, giovane filosofo sibarita = Alessandro Liberatore

Palémon, vecchio cenobita = Maurizio Lo Piccolo

Albine, badessa mezzosoprano = Nadezhda Serdyuk=

Crobyle, schiava = Eleonora Buratto

Myrtale, schiava = Ketevan Kemoklidze

La Charmeuse = Daniela Schillaci

Un servitore = Diego Matamoros

Direttore d’orchestra: Gianandrea Noseda,

Regia, coreografia, scene e costumi: Stefano Poda

Maestro del coro: Roberto Gabbiani

Orchestra e Coro del Teatro “REGIO” di Torino

(Nuovo allestimento)

A scopo di farlo conoscere, ricopio ciò che è stato scritto da Marco Cabrino che ha assistito alle due rappresentazioni dell’opera:

< Il corteo si apre come a formare un corridoio vivente e arriva lei, la protagonista, Thaïs, bellissima, in un costume fantasmagorico, in nero e rosso con richiami Klymtiani.

< Donna-vampiro, prostituta santa donata al culto di Venere, sensualissima, ammiccante, ma anche, da subito, come recita il libretto, fragilissima, tendente all’autodistruzione per troppo eccesso. Ecco una delle tante immagini che, indelebili, ci ha lasciato nella mente la recita di Thaïs di Jules Massenet andata in scena domenica 14 dicembre 2008 al Teatro Regio di Torino. Uno di quegli spettacoli in cui richiami culturali, gestione scenografica, rimandi emozionali e fascinazione puramente estetica si uniscono a formare un momento teatrale, un agglomerato, che dello spettatore stimolando il cervello, riescono anche a colpirne il cuore. Dopo i grandi registi europei e americani, negli ultimi anni fortunatamente sempre più spesso è capitato di trovarci di fronte a registi italiani di grande sensibilità e capacità (Livermore, Micheletto) che fanno sperare che il (troppo) lungo periodo di stasi della regia lirica italiana, in cui schemi teatrali triti e ritriti sono stati proposti fino alla noia allo spettatore, stia finalmente per finire. Uno di questi registi è sicuramente Stefano Poda; regista, ma anche scenografo, costumista, e responsabile delle luci di questa Thaïs torinese.

Lo svolgere dell’azione era di volta in volta sottolineato da un particolare, magari architettonico, come il muro della casa di Thaïs che formando un intreccio di occhi, seni, orecchie, tronchi, al mutare dell’illuminazioni lasciava intuire rimandi alle architetture romane, egizie o mesopotamiche; o dal deserto caratterizzato da un fondale in cui centinaia di mani bianche e spettrali uscivano imploranti dalla terra. In altri casi richiami puramente coreografici come nella scena dell’oasi in cui una sorta di canneto scosso dal vento e creato da figuranti di entrambi i sessi dalla pelle sbiancata e in perizoma, agitano una coppia di bastoni. – Ed è in questa natura mutevole e carnale che vediamo scorrere Albyne e le Filles blanches alla ricerca della realtà di Dio in un lentissimo, eterno fluire da sinistra a destra della scena, come se lo spettatore, al contempo di Thaïs e Athanaël, si sia imbattuto in un’eterna forza fluente della natura, che rapisce Thaïs e la conduce alla soave morte/redenzione. - Ma mille altri spunti potremmo evidenziare di questo spettacolo rischiando di perderci. Vogliamo solo ancora ricordare e sottolineare la peculiare visione della sensualità che in un’opera come Thaïs, famosa per richiami sexy un pò da baraccone, il regista ci ha presentato. Visione in cui la protagonista ci appare castissima, vera sacerdotessa di un culto antico, circondata da una corte altrettanto casta, ma la cui decadenza è sottolineata dal particolare e non dall’insieme (i costumi, mirabili, avrebbero fatto la felicità di scrittori come Frank Herbert e di registi come Kubrick). Protagonista insidiata da un rappresentante di un culto esteriormente freddo, ma che interiormente ribolle di richiami sensuali (i due quadri tebani), all’interno di una natura che più viva e sensuale non si può. Una visione moderna, unitaria, semplice nella sua estrema complessità; un grumo di teatro stupefacente e affascinantissimo.

Vera base di una visione teatrale così stupefacente è stato il direttore musicale del Teatro Regio di Torino, deus-ex-machina dello spettacolo, Gianandrea Noseda, il quale ha saputo dirottare tutta la sua sapienza ed esperienza di concertatore e di direttore in un’opera tutt’altro che semplice da affrontare. Un’opera che si situa nel mezzo del guado tra l’800 e Debussy, con richiami evidenti sia a Bizet, che a Mussorgsky, ma anche, come sempre per Massenet, a richiami mozartiani. - Come abbiamo fatto per la regia vogliamo ricordare solo qualche momento della concertazione, quelli che ci hanno suggestionato di più. Ed allora il tersissimo, ma al contempo teatralissimo svilupparsi del corteo di Thaïs nel secondo quadro, dove abbiamo sentito suonare l’orchestra del Regio forse meglio che mai, con le sezioni che, nel sottolineare, esaltavano l’insieme. Oppure l’accompagnamento dell’aria dello specchio della protagonista dove il substrato orchestrale faceva intravedere in chiaroscuro i tormenti del personaggio, senza però rinunciare per niente al sostegno, al respiro e all’accompagnamento del canto. Se com’è ovvio la Méditation è stato un momento magico, vogliamo ancora ricordare il coro fuori scena dell’entrata di Albyne e delle Filles Blanches nella scena dell’oasi che, wagnerianamente, diventava il centro musicale (e drammaturgico) dell’intero spettacolo.

Ottima protagonista è stata Barbara Frittoli, qui in un ruolo piuttosto inusuale all’interno della sua carriera. Se dal punto di vista vocale la cantante ci ha assolutamente convinto con una tenuta serena e precisa del ruolo, affrontato senza risparmi pur se con un approccio assai diverso rispetto al soprano lirico leggero cui la discografia ci ha abituato (non che gli acuti le difettassero compreso un bel re acuto nel finale), la Frittoli ci ha assolutamente soggiogato dal punto di vista interpretativo. L’evolversi psicologico del personaggio sostenuto dalla regia è stato favorito in maniera specifica dal fatto che la cantante sa cogliere ogni spunto, ogni sottolineatura gestuale in maniera efficace. Se aggiungiamo anche che stiamo parlando di una donna di bellezza assoluta possiamo ben dire che in questa Thaïs il gioco è fatto.

Il baritono georgiano Lado Ataneli (Athanaël) ha dato prova di una sicura lettura musicale ed interpretativa della parte risultando convincente in un ruolo ingrato quanto pochi altri, con solo qualche piccolo problema nelle frasi lunghe dove l’intonazione non era sempre perfetta.

Ottimo il Nicias del giovane Alessandro Liberatore, che ci auguriamo di sentire al più presto in un ruolo più incisivo, e buoni tutti gli altri (e assolutamente credibili scenicamente) con una nota di merito per il Palémon di Maurizio Lo Piccolo veramente ben cantato.

Grandi registi, grandi interpreti e un direttore musicale di gran pregio e che, evidentemente, ha dei “progetti” artistici per gli anni venturi: vacche grasse al Teatro Regio di Torino, speriamo solo che gli eventi politico-economico non vi mettano i bastoni tra le ruote.

Marco Cabrino

Appartenente al secondo cast visto nella recita del 17 dicembre, Athanaël era il giovane basso baritono Simone Alberghini qui in una delle più compiute creazioni della sua carriera. Con un timbro che, sulle prime, non parrebbe adatto a quello strettamente baritonale di Athanaël, ha creato un personaggio interessantissimo e del tutto personale. Personaggio in cui molto più evidente erano i sentimenti, più netta la passione che per tutta l’opera lo travolge nei confronti di Thaïs, e alla quale si abbandona alla fine nel rendersi conto di amare la donna e non solo la di lei proiezione mentale. La scena della corsa per raggiungere l’amata morente è stata indimenticabile, ma non meno convincente è stata la prova strettamente vocale. Ottimo nei tanti arioso, a nostro parere, è stato assolutamente perfetto nel duetto con Thaïs nella prima scena del secondo atto, in cui insieme alla Manfrino, oltre a fare scenicamente scintille, ha raggiunto un’estasi drammatica di notevolissimo impatto (quanti richiami a”Manon” e alla scena di “San Sulpice”).


Laura Rocatello:

Simone Alberghini, nel mio articolo dell’11 ottobre 1993, avevo riferito quanto segue:

S.M.E.L.C., Concerto Lirico-Vocale con la PARTECIPAZIONE dei VINCITORI in “OMAGGIO” al soprano “ANGELICA CATALANI” 1993 – Città di OSTRA (Ancona)

Forse, questo grande soprano – nato nella seconda metà del 1700 – non pensava che, in futuro, avrebbe ispirato a qualcuno l’idea di creare concorsi intitolati a lei.

Questa sera, infatti, i VINCITORI di tale CONCORSO, si esibiscono qui, a Milano, cantando arie con “BIS” finali – arie di Verdi, Bellini, Mozart, Rossini, Donizetti, Cilea e Puccini.

Abbiamo il basso SIMONE ALBERGHINI che ci traumatizza con la sua voce già formata, nonostante la sua giovane età (20 anni, pensate!), il baritono KO SUGIE (molto simpatico) e il soprano dalla voce limpidissima YOSHIMI TATSUNO entrambi Giapponesi), gli Italiani GIULIANO DI FILIPPO (buon tenore leggero) e il soprano ANNA MARIA DELL’OSTE (voce pura, limpida, cristallina e solare).

Inutile dirlo: applausi, applausi, applausi e ancora APPLAUSI! >

Thaïs viene rappresentata per la PRIMA volta il 16 marzo 1894 al Teatro dell’ “Opéra” di Parigi ed è il dodicesimo lavoro lirico del Francese JULES MASSENET, un musicista finissimo, la cui arte musicale si era perfezionata notevolmente nei dieci anni trascorsi dalla prima rappresentazione della sua celeberrima “MANON”.

L’esito è un caloroso successo.

Epoca: IV secolo

Luogo: Egitto

L’asceta ATANAELE (baritono) aspira a redimere la cortigiana Thaïs (soprano) che, in Alessandria, tiene desto – con il suo esempio – il culto per AFRODìTE.

Giunto in città, Atanaele rintraccia la donna e tenta di convertirla parlandole delle gioie della fede e della spiritualità.

Le parole di lui colpiscono Thaïs, atterrita all’idea della morte e desiderosa di riscattare la propria esistenza fino ad allora dedita al peccato.

Su consiglio di Atanaele, ella infrange l’effigie di Eros, incendia la sua dimora e si rifugia in un cenobio, nel deserto, diventando monaca. - In quel luogo di preghiere e di meditazioni, Thaïs trova l’attesa serenità.

Atanaele, invece, confessa di avere perduto la pace dello spirito. - È subentrato in lui, contemporaneamente all’orgoglio per aver convertito la famosa cortigiana di Alessandria, il desiderio di una conquista del tutto terrena. – Sconvolto dalla passione per lei, torna da Thaïs che, morente, non ascolta le sue parole d’amore, già distaccata dalle cose del mondo ed assorta in una visione celeste, redenta.

Laura Rocatello