venerdì 20 dicembre 2013
22 dicembre 2013: oggi, GIACOMO PUCCINI compie 155 ANNI
Giacomo Antonio Domenico Michele Secondo Maria Puccini (Lucca, 22 dicembre 1858 – Bruxelles, 29 novembre 1924) è stato un compositore italiano, considerato uno dei massimi operisti della storia.
GIACOMO PUCCINI, NADAMA BUTTERFLY – dall’ATTO I, ascoltiamo la seconda parte del PIU’ DEL DUETTO D’AMORE DELL’OPERA LIRICA: http://youtu.be/eXKOEHtZmrw
venerdì 13 dicembre 2013
RICORDANDO GIUSEPPE VERDI NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA
(Le Roncole di Busseto, 10 ottobre 1813 - Milano, 27 gennaio 1901)
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III PUNTATA:
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Verdi ebbe indole semplice e retta e una personalità potente.
Poteva essere brusco e ruvido, talvolta intrattabile e scortese, ma la sua intuitiva comprensione umana ebbe un fondo basilare di intensa vibrazione, di calda e cordiale simpatia.
Iniziò la sua attività di compositore senza molte preoccupazioni estetiche.
Possedeva un senso istintivo per il teatro e non trovava difficoltà nel raggiungere gli effetti voluti.
Le agitazioni politiche del tempo e le aspirazioni all’indipendenza nazionale si impadronirono del suo spirito e colorirono la sua musica.
Divenne un compositore nazionale forse, quasi, inconsapevolmente.
Ma l’anelito dell’artista andò oltre: la sua musica ricercò e rivestì le passioni umane.
Il suo insistente appassionato accostarsi a Shakespeare, in vari stadi della sua vita, va considerato sotto l’angolo visuale dell’affinità elettiva.
Possedette una inestimabile, meravigliosa ricchezza melodica; la sua musica è calda, traboccante di vitalità, appassionata, onesta e diretta.
Egli non si curò che apparisse talvolta volgare, purché fosse intensa e pregna di carattere.
La sua evoluzione, come compositore, è stata interpretata nei modi più vari.
Egli si irritava quando sentiva dire che era stato influenzato da Wagner: ammirò la musica di Wagner, ma si guardò bene dal servirsi delle sue teorie che egli considerava dannose all’opera italiana.
Il 7 aprile 1892, in una lettera a Verdi da Amburgo, Hans Von Bülow faceva ammenda di un giudizio sfavorevole sulla musica verdiana, da lui pubblicato anni prima sulla “Allgemeine Zeitung”:
« Illustre Maestro, degnatevi ascoltare la confessione di un peccatore contrito! Diciotto anni or sono il sottoscritto si è fatto reo di una grande bestialità … verso l’ultimo dei cinque Re della musica italiana. Se n’è pentito, se n’è vergognato amaramente, oh quante volte! Ebbi la mente accecata da fanatismo [wagneriano] …
« Ho principiato a studiare le vostre ultime opere, Aida, Otello e il Requiem (che mi ha commosso fino alle lacrime). Volete perdonarmi, valervi dei privilegi dei sovrani di graziare?
« Fedele al motto prussiano, Suum cuique, esclamo vivamente: “Evviva Verdi, il Wagner degli Italiani! » .
Verdi così rispondeva, compostamente e forse non senza una punta di umorismo:
« Illustre Maestro Bülow, non vi è ombra di peccato in voi, e non è il caso di parlare di pentimenti e di assoluzioni!
« Se le vostre opinioni di una volta erano diverse da quelle d’oggi, avete fatto benissimo a manifestarle: né io avrei mai osato lagnarmene. Del resto, chi sa …, forse avevate ragione allora.
« … Se gli artisti del Nord e del Sud hanno tendenze diverse, è bene che siano diverse! Tutti dovrebbero mantenere i caratteri propri della loro nazione, come disse benissimo Wagner. » .
Vi sono senza dubbio dei punti di contatto fra i drammi musicali di Wagner e le ultime opere di Verdi, che non contengono più arie o pezzi d’insieme a forma chiusa: i brani vi si susseguono « senza interruzioni per applausi », il testo è trattato con maggior cura e l’orchestra con più ricca immaginazione.
Ma le basi della composizione di Verdi sono essenzialmente differenti da quelle delle opere di Wagner: per Wagner l’orchestra era il centro dell’interesse, per Verdi l’elemento fondamentale per la voce.
Verdi affida alla voce del cantante la melodia, il più potente mezzo di espressione per lui.
In Wagner, la voce è solo una parte del tutto, sullo stesso piano degli altri elementi.
Perciò, in Verdi, la soluzione del problema operistico è completamente diversa da quella di Wagner: come Wagner trovò una soluzione tedesca, così Verdi ne trovò una italiana, nuova, ma basata sulla tradizione.
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Il cosiddetto mutamento fra le prime e le ultime opere verdiane è, in realtà, inesistente.
Francis Toye ha scritto:
« Il suo magistero tecnico si accrebbe in grande misura, la raffinatezza e sottigliezza di espressione pure in misura ragguardevole, ma le caratteristiche fondamentali della sua personalità musicale mutarono ben poco.
In un certo senso, noi ritroviamo nel compositore di “NABUCCO” gli stessi lineamenti, potenti, intensi, diretti, la stessa sostanza emotiva del compositore di “OTELLO”.
Nei mezzi con cui si esprimono è intervenuta un’evoluzione stupefacente, un mutamento radicale; ma i tratti caratteristici sono rimasti gi stessi. ».
E. Percy M. Young:
« Fu l’erede delle grandi tradizioni della melodia e del bel canto italiano, degli splendori della tecnica, della valorizzazione del colore; e fu originale. ».
(Il Mondo della Musica)
Battuto al computer da Lauretta
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Milano: statua di Giuseppe Verdi in piazza Michelangelo Buonarroti, opera di Enrico Butti
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f4/Milano_Statua_di_Verdi.jpg/210px-Milano_Statua_di_Verdi.jpg
RICORDANDO GIUSEPPE VERDI NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA --> 10 ottobre: BUON COMPLEANNO, VERDI!
10 ottobre: BUON COMPLEANNO, VERDI!
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(Le Roncole di Busseto, 10 ottobre 1813 - Milano, 27 gennaio 1901)
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II PUNTATA:
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Seguirono “NABUCCO”: “I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA”, “ERNANI” (da VICTOR HUGO), “I DUE FOSCARI”.
Durante i fermenti politici del 1840, Verdi si manifestò fervente patriota.
Condividendo l’aspirazione di indipendenza degli Italiani e l’avversione contro l’oppressore austriaco, ebbe fede nell’Italia libera e le sue opere sono piene di richiami a questi sentimenti.
Come argomento di esse, egli dette la preferenza a significativi avvenimenti storici: così, “LA BATTAGLIA DI LEGNANO” (evocante la lotta contro il BARBAROSSA) , “GIOVANNA D’ARCO”, “ALZIRA” (episodio della rivolta degli Incas contro gli Spagnoli), “I MASNADIERI” (dal dramma di SCHILLER), “IL CORSARO” (dal poema di BYRON”) e DIVERSI CORI DI QUELLE OPERE divennero, per gli Italiani, INNI PATRIOTTICI DELLA LIBERTA’.
Questi successi gli permisero di acquistare la villa e il podere di Sant’Agata, presso Busseto, dove spesso soggiornava in tranquillità, occupandosi dei lavori della fattoria (che lo interessavano moltissimo), di poesia e filosofia.
Si unì alla cantante GIUSEPPINA STREPPONI – che sposò solamente il 29 agosto 1859 – la quale fu per lui una moglie ideale.
Nonostante le assai floride condizioni finanziarie, Verdi non divenne mai uomo di mondo; amava la semplicità ed era felice quando poteva vivere a contatto della natura.
Dopo un soggiorno del 1848, a Parigi, scriveva:
« E’ un fatto che ho vissuto per un anno e mezzo a Parigi dove si dice che ogni cosa acquisti una certa raffinatezza. Ma confesso di esservi divenuto più orso che mai. Ho scritto delle opere, ho vagato da un posto all’altro per sei anni, ma non ho mai scambiato una parola con un giornalista col proposito di coltivare il successo; non ho mai chiesto favori ad amici o fatto la corte ai ricchi. Mai, mai, in vita mia! E sempre disprezzerò tale sorta di cose. Scrivo le mie opere meglio che posso, e poi lascio andare le cose come vogliono, senza cercare di influenzare la pubblica opinione ».
Negli anni 1851-1853, compose “RIGOLETTO”, “IL TROVATORE”, “LA TRAVIATA”.
Sebbene “IL TROVATORE” fosse ancora un’opera essenzialmente vocale (nel vecchio stile), queste tre opere si possono considerare d’avanguardia, come drammi psicologici nei quali sono fortemente caratterizzate le opposte tendenze dei personaggi.
Quanto “RIGOLETTO” e “LA TRAVIATA” fossero diverse dalle altre opere di quel tempo, si può arguire dalle reazioni sui giornali dell’epoca.
Di “RIGOLETTO” un critico scrisse:
« Un’opera come questa non può essere giudicata in una sola sera. Ieri, infatti, noi fummo sopraffatti da tutte le novità che contiene: novità o, meglio, originalità del soggetto, novità della musica, dello stile, della stessa forma nelle diverse parti. ».
“LA TRAVIATA”, così profusa di melodia, raccolse insistentemente l’appunto di essere “priva di arie”.
E gli abituali cantanti verdiani (uomini e donne) sollevarono obiezioni sulla difficoltà della musica (l’opera cadde, a causa della mediocrità dei cantanti e per incomprensione del pubblico, alla prima rappresentazione, al Teatro “LA FENICE” di Venezia, il 6 marzo 1853).
Ma, in materia artistica, Verdi era irremovibile: « Non mi lascerò mai imporre dai cantanti, nemmeno dalla Malibran, se resuscitasse. », ebbe a dire.
Nel 1859, la sua terra natale entrò a far parte del Regno d’Italia.
Verdi era divenuto una specie di eroe popolare; il suo nome stesso era stato innalzato come simbolo di libertà, aveva significato , per i patrioti: “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”.
Fu fatto cittadino onorario di molte città e membro del Parlamento.
Seguì un periodo di calma, nel quale il Maestro fu sempre più assorbito dalle cure delle sue terre di Sant’Agata, mentre le opere si seguivano ad intervalli sempre più lunghi.
Nel 1857, finì “SIMON BOCCANEGRA”; a due anni di distanza, “UN BALLO IN MASCHERA”; a tre, “LA FORZA DEL DESTINO”; a cinque, “DON CARLO”.
Verdi considerava ormai finita la sua carriera di compositore ma, quando, nel 1869, gli venne proposto di scrivere un’opera per celebrare l’inaugurazione del Canale di Suez, trovatone interessante il libretto, accettò l’offerta e si mise al lavoro per la composizione di “AIDA”, che venne rappresentata al “NUOVO TEATRO” de Il Cairo il 24 dicembre 1871, con un successo colossale.
Deciso ad abbandonare l’Opera, il Maestro si dedicò, in seguito, alla “MESSA DA REQUIEM” per commemorare la morte di Manzoni.
Nel 1873, scrisse un “QUARTETTO PER ARCHI” di cui, per molto tempo, non permise la pubblicazione, né l’esecuzione, considerandolo un semplice passatempo.
Aveva, allora, oltre sessant’anni e pensava di meritare il riposo.
Trascorreva l’inverno a Genova, a Palazzo Doria, il resto dell’anno a Sant’Agata, occupandosi dei suoi cani e cavalli; quando si trovava in viaggio, scriveva dando minuziose istruzioni per la cura dei suoi animali.
A Sant’Agata, consigliava i coltivatori vicini nei lavori delle loro fattorie, e si recava regolarmente sui mercati di Parma e di Cremona a comperare il bestiame.
« Quanto a me, ho ben poco da dire, davvero quasi nulla. Non faccio niente e non sono al corrente di niente. Cammino per i campi finché sono esausto, poi mangio e vado a letto. Ecco tutto. Che vita!, direte. È vero, non vi è nulla di poetico ma, alla mia età, è un modo come un altro di passare il tempo e, forse, ce n’è di peggiori. ».
Ma la sua potenza creativa non gli lasciò pace: a settantatre anni scrisse “OTELLO” e, a ottanta, “FALSTAFF”.
Nel 1897, gli morì la moglie e la salute di ferro di Verdi cominciò ad indebolirsi.
Il cuore era fiacco e il medico gli proibì qualsiasi occupazione.
Nel Natale del 1900, si recò a Milano per trascorrervi le feste con degli amici, ma fu uno sforzo: colpito da attacco cardiaco, vi moriva il 27 gennaio 1901.
Lasciò larga parte delle sue sostanze, con i diritti delle opere, alla Casa di Riposo per i musicisti da lui fondata a Milano.
Battuto al computer da Lauretta
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GIUSEPPE VERDI: ritratto eseguito da Giovanni Boldini
http://www.frammentiarte.it/dall'Impressionismo/Boldini%20opere/17%20boldini%20-%20ritratto%20di%20giuseppe%20verdi.jpg
RICORDANDO GIUSEPPE VERDI NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA
GIUSEPPE FORTUNINO FRANCESCO VERDI:
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/7c/Verdi-photo-Brogi.jpg/200px-Verdi-photo-Brogi.jpg
(Le Roncole di Busseto, 10 ottobre 1813 - Milano, 27 gennaio 1901)
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GIUSEPPE FORTUNINO FRANCESCO VERDI:
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E’ stato un compositore italiano autore di melodrammi che fanno parte del repertorio operistico dei teatri di tutto il mondo.
È considerato il più celebre compositore italiano di tutti i tempi.
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PRIMA PUNTATA:
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VERDI è di discendenza contadina.
Suo padre (CARLO VERDI) aveva una bottega di generi diversi nel villaggio di Le Roncole presso Busseto, nel Parmense, al tempo della sua nascita ancora sotto la dominazione francese.
Alcuni mesi dopo, il distretto veniva conquistato dagli Austriaci e saccheggiato da distaccamenti di cavalleria; una lapide, a Le Roncole, ricorda che la madre di Verdi fu costretta a cercare rifugio dalla sacrestia della chiesa fin nel campanile.
Il piccolo Giuseppe mostrava tale passione per la musica che il padre gli comprò una sgangherata spinetta, permettendogli di studiare col vecchio organista BAISTROCCHI.
Il ragazzo fece rapidi progressi e, a dodici anni, ebbe l’incarico di sostituire questi nella chiesa del villaggio.
Il compenso (di circa quaranta lire l’anno) veniva speso per pagargli la scuola in Busseto, dove imparò a leggere, a scrivere e a far di conto.
Per due anni, Verdi visse a Busseto, recandosi ogni domenica a Le Roncole per suonare l’organo in chiesa.
A Busseto, un commerciante di nome BAREZZI, appassionato di musica, notate le doti eccezionali del ragazzo, lo impiegò presso di sé, permettendogli di suonare il pianoforte con la propria figliola MARGHERITA.
Verdi scrisse più tardi:
« Ho conosciuto molta gente, ma nessuno migliore di Barezzi. Mi amò come un figlio e io l’amai come un padre ».
Quando Verdi ebbe diciotto anni, Barezzi ottenne per lui una borsa di studio, che gli avrebbe permesso di frequentare i corsi presso il Conservatorio di Milano; ma, per l’età e la scarsa preparazione, il giovane non potè esservi ammesso.
Peraltro, rimase a Milano due anni, prendendo lezioni di armonia, contrappunto e fuga dal LAVIGNA, esercitandosi nella direzione d’orchestra e nella composizione.
La sua tecnica pianistica lasciò sempre a desiderare e Rossini si divertiva, più innanzi, a inviargli lettere così indirizzate: “Al Maestro Verdi, pianista di quinto corso”.
Qualche tempo dopo, moriva l’organista di Busseto e, il fatto che Verdi non fosse stato scelto come successore, suscitò contrarietà fra i suoi sostenitori.
Per aiutarlo, il Barezzi gli fece ottenere l’incarico di dirigere la banda cittadina.
Nel 1836, Verdi sposava Margherita, la figlia di Barezzi.
Nel 1838, si stabilì a Milano e, nel 1839, fece rappresentare a “LA SCALA” la sua prima opera, “OBERTO, CONTE DI SAN BONIFACIO”.
Il successo fu tale che l’impresario del teatro, MERELLI, gli offrì un contratto per tre nuove opere.
Ancor più importante per il giovane compositore fu la conoscenza di GIOVANNI RICORDI, il quale, da copista de “LA SCALA”, si era affermato come editore acquistando i diritti di pubblicazione delle opere di ROSSINI.
Ricordi comperò la prima opera verdiana, iniziando col Maestro rapporti che dovevano durare per tutta la vita.
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La vita privata di Verdi, in quel tempo, fu colpita da un seguito di dolorose sciagure: perdette i due figli bambini e, nel 1840, gli morì la moglie beneamata.
Frattanto, andava in scena l’opera “UN GIORNO DI REGNO”: fu un insuccesso.
Quali le cause?
Le recenti disgrazie familiari influirono certo, negativamente, sulla capacità creativa del Maestro; ma vi sono altre (e, forse più valide) ragioni che giustificano l’infelice esito di questo spartito.
Con “OBERTO”, Verdi aveva scritto un’opera decisamente mediocre, con uno strumentale greve e derivato dalla pratica della banda.
Da spirito acuto e da inflessibile autocritico qual era, egli comprese perfettamente il suo errore ma, nell’opera seguente (“UN GIORNO DI REGNO”), cadde nell’eccesso opposto.
Accolto un libretto di gusto sorpassato, tentò un’imitazione cimarosiana che, in quel tempo, era più che mai priva di senso.
Queste due opposte esperienze furono fondamentali per il Maestro che trovò poi, con “NABUCCO” la sua giusta maniera.
Dopo l’insuccesso di “UN GIORNO DI REGNO”, decise di abbandonare la composizione e il Merelli dovette usare tenacia ed astuzia per indurlo a riprendere il lavoro.
Gli chiese di dare una scorsa al libretto “NABUCODONOSOR” e, avendo ricevuto un rifiuto, glielo pose in tasca.
Arrivato a casa, Verdi fu vivamente interessato dai primi versi che gli caddero sott’occhio e lo lesse per intero.
Comunque, rimase nella determinazione di non scrivere più musica ma, ben presto, la natura dell’artista ebbe il sopravvento e, il 9 marzo 1842, l’opera dal titolo “NABUCCO” veniva rappresentata a “LA SCALA” con enorme successo.
(Il Mondo della Musica)
Battuto al computer da Lauretta
RICORDANDO RICHARD WAGNER NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA
(Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883)
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QUARTA PUNTATA:
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Le opinioni sul carattere di Wagner sono quanto mai discordi.
Un suo ammiratore è arrivato al punto di chiamarlo “uno tra i geni più nobili e più potenti della razza umana” (Gerhard Schjelderup), ma molti, oggi, sarebbero disposti a confutare il primo qualificativo.
Deems Taylor tenne alla radio una famosa conferenza su Wagner , intitolandola “Un mostro”:
“Per sé, egli non era soltanto la persona più importante di questo mondo; ai propri occhi, era l’unica persona esistente. Si riteneva uno dei più grandi drammaturghi mai esistiti, uno dei più grandi pensatori e uno dei più grandi musicisti …
“Era convinto che il mondo avesse l’obbligo di mantenerlo. E, a sostegno di tale convinzione, si faceva prestare denaro da chiunque fosse disposto a dargliene: uomini, donne, amici, oppure estranei …
Non mi risulta che egli abbia mai restituito soldi a chi non avesse i mezzi legali per costringerlo.
“La sia esistenza è attraversata da un interminabile corteo di donne.
La sua prima moglie trascorse vent’anni a sopportare e a perdonargli le infedentà.
La seconda moglie era stata prima la consorte del suo più devoto amico e ammiratore: ed egli gliela rubò.
E già, mentre cercava di convincere la donna ad abbandonare il marito, Wagner scriveva ad un amico per chiedere se potesse indicargli una donna ricca – qualunque donna ricca – da poter sposare per interesse.”
“Eppure – conclude Deems Taylor – tutto questo ha poca importanza perché Wagner ebbe il Diritto di essere quello che fu:
Fu veramente uno dei più grandi drammaturghi del mondo.
Fu veramente un grande pensatore.
Fu veramente uno dei geni musicali più stupendi che, sino ad oggi, il mondo abbia mai visto.
Il mondo aveva veramente l’obbligo di mantenerlo … Che importava che fosse infedele agli amici e alle mogli?
Ad un’Amante rimase fedele sino al giorno della morte: la Musica …
Non c’è una riga, nella sua musica, che avrebbe potuto essere concepita da una mente mediocre …
Anche nei suoi sbagli peggiori, c’è grandezza …
Il miracolo è che quanto egli compì nel breve spazio di settant’anni sia potuto avvenire, sia pure per opera di un genio.
E c’è, allora, da meravigliarsi che non abbia avuto il tempo di essere un uomo?”
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Pochi musicisti hanno suscitato tante polemiche come Wagner e i giudizi sulla sua arte hanno oscillato da un estremo all’altro.
Negli anni di lotta egli si trovò completamente solo e trovò comprensione solo in pochi, rari amici che, per lui, combatterono strenuamente.
Ma, quando il Teatro di Bayreuth divenne una realtà, l’arte wagneriana prese a dominare la vita musicale di tutto il mondo.
L’ammirazione per la sua opera fu così travolgente da provocare la revisione dei valori di tutta la lirica precedente.
Dopo di che le vecchie, onorate opere ricevettero, a mala pena, l’attenzione che meritavano o, quanto meno, prese piede l’abitudine di affidarle ai direttori sostituti dei grandi teatri.
La reazione era inevitabile e insorse subito la svolta del secolo ad opera degli IMPRESSIONISTI francesi capeggiati da DEBUSSY, prima, e – poi - dei compositori che, come STRAVINSKIJ e MILHAUD, assunsero davanti alla musica un atteggiamento antiromantico e “pratico”.
Questi antiwagneriani convinti provocarono un rinnovamento d’interesse per le opere tradizionali precedenti quelle del Maestro.
Alfred Einstein, saggiamente, afferma che non si dovrebbe giudicare Wagner solo come compositore: “Questo grande poeta-musicista fu, ancor più di BEETHOVEN, un profeta, un artista missionario: aveva il dramma nel sangue; e doveva diventare dramma musicale, giacché la musica era per lui la suprema arte redentrice.”
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Ecco come Edward Dannreuther ha definito la nuova funzione attribuita da Wagner alla musica nelle sue opere:
“Finita la stesura poetica, Wagner passava a comporre la musica o, meglio, iniziava a scrivere materialmente la musica giacché è evidente che, essendo nel suo caso drammaturgo e musicista un’unica persona, la concezione musicale procedeva di pari passo con quella poetica e, anzi, forse, la precedeva.
La concezione dei personaggi e delle situazioni esistendo già all’inizio dell’elaborazione, certe frasi musicali si insinuavano logicamente.
Queste frasi o temi (o “Leitmotive”) sono per il musicista l’equivalente delle caratteristiche delle “dramatis personae”.”
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Cercando di riassumere il valore speciale del contributo dato da Wagner alla musica, Edwin John Stringham scrisse:
“Nel tentativo di far esprimere all’orchestra tutte le passioni dei personaggi – amore, odio, disperazione, vendetta – nonché gli aspetti pittorici e scenici dei miti su cui egli costruiva i suoi drammi – la tempesta, le fiamme, la magìa della foresta, la meraviglia dell’arcobaleno, il luccichìo del Reno – Wagner offrì il contributo più ricco al linguaggio sinfonico del movimento romantico.
Attraverso l’impiego di nuove combinazioni orchestrali, in particolar modo degli ottoni e dei legni, attraverso nuove progressioni armoniche e l’uso di un irrequieto linguaggio cromatico e contrappuntistico che modulava senza posa da una tonalità ad un’altra, egli ampliò immensamente la capacità di espressione emotiva e di colore sonoro dell’arte musicale.”
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Sopite le polemiche e i giudizi dettati dal fanatismo del tempo, potremo concludere dicendo che Wagner rappresenta la sintesi dell’epoca romantica con le sue qualità eccezionali e il suo assolutistico individualismo.
(Il Mondo della Musica)
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APPENDICE ALLA QUARTA PUNTATA:
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SIEGFRIED WAGNER (Triebschen, Lucerna 1869 – Bayreuth, 1930).
Direttore d’orchestra e compositore, figlio di Richard.
Iniziò lo studio dell’Architettura, ma passò ben presto alla musica, avendo a maestri HUMPERDINCK e KNIESE.
Diresse in Italia, Austria, Inghilterra e, dal 1896, a Bayreuth, i festival wagneriani.
Scrisse il poema sinfonico “SEHNSUCHT”, “CONCERTO” per flauto e piccola orchestra, “CONCERTO” per violino e orchestra, la cantata “FAHNENSCHWUR” per coro e orchestra, una DOZZINA DI OPERE TEATRALI, quasi tutte rappresentate.
Pubblicò le sue memorie, “ERINNERUNGEN” (Stoccarda, 1923).
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I suoi figli WIELAND (Bayreuth, 1917) e WOLFGANG (Bayreuth, 1919) si sono occupati della DIREZIONE ARTISTICA E ORGANIZZATIVA del “FESTSPIELHAUS”.
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( “Il Mondo della Musica”)
Battuto al computer da Lauretta
RICORDANDO RICHARD WAGNER NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA
(Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883)
TERZA PUNTATA:
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Negli anni di permanenza a Vienna, gli affari privati di Wagner andarono di male in peggio.
Nel 1863, pubblicava il poema
“L’ANELLO DEL NIBELUNGO” come opera letteraria.
“Sarà già difficile che trovi del tempo libero per completare la musica, e ho abbandonato ogni speranza di vederlo rappresentato.”
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Più di una volta, il pensiero del suicidio attraversò la mente del musicista.
In una lettera a Liszt, scriveva:
“Credetemi, se sono ancora vivo è solo perché sento un impulso irresistibile a completare le creazioni d’arte che vivono in me e che mi danno la forza di vivere.”
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Quando i creditori si facevano insistenti, li sfuggiva e, quando il bisogno bussava alla porta, si immergeva ancor più nel lavoro.
E quanto più le sue opere si facevano singolari dal punto di vista artistico, tanto più si accrescevano le sue esigenze nei confronti del pubblico.
Era convinto che gli altri avessero il dovere di portare alla vita le sue creazioni.
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Nella premessa a “L’ANELLO DEL NIBELUNGO”, così egli riassume il costo enorme che la messa in scena della “TETRALOGIA” avrebbe comportato:
“Solo un principe avrebbe i mezzi per farlo. Si troverà mai questo principe?”
La risposta fu affermativa: il re Luigi II di Baviera si rivelò l’uomo che Wagner cercava.
Salito al trono, uno dei suoi primi atti fu di inviare un segretario privato a chiamare il musicista.
Egli diede a Wagner piena assistenza finanziaria e morale finché non intervenne a impedirglielo il governo; fu lui a rendere possibile il programma di Bayreuth. “Io porto la corona per voi”, scriveva al maestro. “Ditemi i vostri desideri e io ubbidirò”.
Per alcuni mesi, il re e il compositore furono molto vicini e progettarono la messa in scena de “L’ANELLO DEL NIBELUNGO”.
“Quando saremo morti da lungo tempo” (sono altre parole scritte da Luigi II) “il nostro lavoro sarà per i posteri un esempio luminoso.”
Per sei anni, Wagner visse a Triebschen, nei pressi di Lucerna, con uno stipendio fisso passatogli dal re.
Egli completò “TRISTANO” e si mise all’opera per “I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA”.
In quel periodo gli furono vicini per lunghi tratti di tempo il maestro HANS VON BÜLOW, suo amico e protettore, e la moglie di questi, COSIMA, figlia di LISZT e della contessa Marie d’Agoult.
Il 10 giugno 1865 fu uno fra i giorni più belli della vita di Wagner, quando “TRISTANO E ISOTTA” venne rappresentata per la prima volta al Teatro di Corte di Monaco e, per la prima volta, il maestro ebbe la possibilità di assistere al compimento di un suo sogno.
Negli inviti, egli scrisse:
“Considera queste esecuzioni come festival artistici, ai quali invito gli amici lontani e vicini della mia arte. Essi saranno liberi dall’atmosfera che circonda le consuete esecuzioni teatrali … Non si tratta, questa volta, di quel piacere o non piacere che sta al centro della moderna partita d’azzardo teatrale. Si tratterà soltanto di vedere se opere di questo genere, sostenute da un’esecuzione eccellente, abbiano la capacità di esercitare i giusti effetti sulla mente umana.”
La manifestazione fu un trionfo e, negli anni successivi, Von Bülow diresse “TANNHÄUSER” (1866), “LOHENGRIN” (1867) e, nel 1868, “I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA” che Wagner aveva completato a Triebschen.
Ma, nel frattempo, tra Wagner e Von Bülow era avvenuta una rottura personale.
L’attaccamento crescente tra Wagner e Cosima portò al divorzio i coniugi Bülow, dopo il quale gli amanti ebbero un figlio (SIEGFRIED) e si sposarono.
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Cosima, donna di spirito potente, intelligente e decisa, divenne la collaboratrice instancabile del marito, lo aiutò a tradurre in atto il più grande dei suoi scopi: il progetto di un teatro, tempio della sua arte, nel quale “L’ANELLO DEL NIBELUNGO” (e le altre opere di Wagner) potessero avere la messa in scena ideale.
Grazie al re Luigi II, il progetto divenne realtà, e il giorno del cinquantanovesimo compleanno di Wagner, a Bayreuth, fu posta la prima pietra del TEATRO DI BAYREUTH.
Terminato nel 1876, fu inaugurato con l’esecuzione completa della TETRALOGIA (13-17 agosto).
Una cronaca del tempo ci fornisce un quadro vivace di quei giorni, a Bayreuth:
“I ritratti del maestro sono esposti nelle vetrine di tutti i negozi, stampati sulle scatole di sigari e riprodotti sui boccali di birra. “Wahnfried”, la sua residenza, è diventata il centro della città e, per tutto il giorno, una folla di gente si dirige alla villa.
Vi è Liszt e, di tanto in tanto, lo si vede uscire in carrozza verso la città, con la figlia.
E anche Wagner, a volte, percorre le vie in carrozza: al suo passaggio, la gente si scopre ed egli restituisce i saluti con affabilità.
A mezzogiorno, chi si soffermi per qualche minuto nella piazza centrale della città, si trova nel cuore di una scena meravigliosa.
In mezzo a questa folla festosa, potete ritrovare i più celebri cantanti della Germania e numerose personalità musicali di primo piano di tutto il mondo: Wotan chiacchiera con le altre autorità del Valhalla, mentre Walchirie e Figlie del Reno fanno cerchio all’intorno”.
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Re Luigi II era presente ogni giorno alle prove e l’imperatore e diversi principi intervennero alla cerimonia di inaugurazione.
Ecco come un orchestrale definì l’acustica del teatro: “In questa sala, l’ottone si trasforma in oro”.
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Nonostante il successo conseguito dalle rappresentazioni, Wagner restò con un forte disavanzo e fu solo la speranza di guadagnare il necessario per coprire i debiti a indurlo a dare alla ROYAL ALBERT HALL di Londra, nel maggio 1877, sei programmi di brani tolti dalle sue opere.
Ma, anche questa manifestazione, dal punto di vista finanziario, fu una delusione.
Il Teatro di Bayreuth restò chiuso dal 1876 al 1882, quando vi fu rappresentato “PARSIFAL”, l’ultima opera di Wagner.
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Il Maestro morì l’anno dopo, a Venezia, e fu sepolto a Bayreuth.
(Il Mondo della Musica)
Battuto al computer da Lauretta
RICORDANDO RICHARD WAGNER NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA
(Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883)
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SECONDA PUNTATA:
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I tre anni successivi furono tra i più difficili e amari nella vita del musicista.
Arrivato a Parigi, sicuro di una brillante affermazione, non rifuggì da alcun mezzo per assicurarsi conoscenze preziose.
In precedenza, aveva già scritto a MEYERBEER, il più celebre operista del tempo, in termini di umiltà e di ammirazione; il musicista lo aiutò in tutto quel che potè.
(Il che non impedì a Wagner di scagliarsi in un meschino attacco personale contro di lui, tredici anni dopo, nel suo libro “OPER UND DRAMA”).
Tutti questi sforzi, però, diedero risultati ben magri e, per tutto il tempo trascorso a Parigi, Wagner dovette lottare con le unghie e coi denti per sopravvivere: per sfamare se stesso e la moglie, fu costretto ad accettare ogni sorta di lavoro sporadico, dalla riduzione di opere popolari all’arrangiamento di musiche allora in voga.
Ma, a dispetto dello squallore e della povertà della sua vita quotidiana, a dispetto dei creditori implacabili, della fame e del bisogno (egli e Minna furono costretti a impegnare persino le fedi nuziali), come artista, Wagner continuò incessantemente a progredire.
Si addentrò in un mondo nuovo di fantasie, si immerse nello studio dei miti e delle leggende germaniche, meditando sul modo di farne la base di una nuova poesia musicale.
Il “RIENZI” era ormai ultimato: esso rivela poco dell’autentico Wagner, ma la fatica compiuta attorno a questa “opera grandiosa” servì molto allo sviluppo della tecnica scenica del musicista.
Nella primavera del 1841, Wagner si accingeva alla composizione de “IL VASCELLO FANTASMA”, la prima opera che rechi l’impronta del suo nuovo stile.
Tuttavia, le sue condizioni finanziarie erano così disperate che si vide obbligato a cedere lo sfruttamento del libretto a un operista francese.
Le prospettive cominciarono nel 1842.
A Dresda, “RIENZI” conseguì un successo brillante e Wagner fu nominato Maestro del Coro dell’Opera di Corte “a vita”.
Seguì, poi, la prima rappresentazione de “IL VASCELLO FANTASMA”: questa opera fu l’assaggio delle future difficoltà perché l’opera fece fiasco ed ebbe solo quattro repliche.
Essendo, essa, priva dello splendore e degli elementi di richiamo del “RIENZI”, il pubblico si ribellò a un’opera poeticamente e musicalmente nuova e insolita , ispirata a ideali artistici del tutto diversi da quelli del tempo.
Wagner non si lasciò abbattere dalla sconfitta: deciso a non scostarsi di un millimetro dalla direzione presa, iniziò a produrre opere ancor più rivoluzionare come “TANNHÄUSER”, “LOHENGRIN”, indi i capolavori, alcuni dei quali videro la luce solo dopo molti anni: “I MAESTRI CANTORI DI NORIMBERGA”, “PARSIFAL” e il poema “LA MORTE DI SIGFRIDO”, poema divenuto, in seguito, fonte d’ispirazione per “LA TETRALOGIA”, ossia “L’ANELLO DEL NIBELUNGO”.
Nel contempo, egli accudiva ai doveri di Maestro Cantore e, in questo incarico, infuse nuovo spirito artistico nel Teatro dell’Opera di Dresda.
La lungamente attesa rappresentazione di “TANNHÄUSER” fu una seconda delusione: il pubblico non dimostrò di avere capito le intenzioni del compositore, la critica fu ostile e si dovette togliere l’opera dal cartellone dopo otto repliche.
Anche a Dresda, Wagner si trovò in ristrettezze.
Non appena nominato direttore permanente del coro, si vide comparire dinanzi i vecchi creditori di Riga: e, ancora una volta, dovette ricorrere a prestiti, ad anticipi sullo stipendio.
Senonché, privo di com’era di senso del denaro, ben presto si ritrovò affogato nei debiti.
Nel contempo, le sue opere passavano da un insuccesso all’altro.
Deluso, invelenito per l’ostilità che l’ambiente sociale gli dimostrava, divenne acceso fautore della rivoluzione liberale e, allo scoppio di un moto politico a Dresda, nel 1849, vi prese parte attiva e diretta.
Come conseguenza, fu costretto a riparare prima presso l’amico Liszt, a Weimar, e – poi – a Zurigo.
Dovevano passare più di dieci anni prima che potesse rientrare in Germania.
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Il soggiorno zurighese ebbe grande importanza, per lui.
Ecco quel che ne scrisse:
“Sono passato dall’inconsapevolezza alla consapevolezza …
Occorre che la nuova forma di musica drammatica assuma l’unità di un movimento sinfonico, se vuole essere forma d’arte.
Il che si consegue solo quando la nuova forma pervada il dramma intero, si trovi lo stretto accordo con esso e non con alcune sue parti soltanto scelte ad arbitrio.
Tale unità deve esprimersi con una composizione intessuta da una trama di temi basilari i quali, come nei movimenti sinfonici, si oppongano e si integrino a vicenda e, poi, si riformino per separarsi e allacciarsi ancora.
È la stessa azione drammatica a fornire le regole di tale separazione e di tale attrazione.
E tutto questo trova origine nei movimenti della danza.”
Wagner declinò l’offerta di essere assunto come maestro del coro, a Zurigo, e – grazie alla generosità degli amici – soprattutto di Liszt, potè dedicarsi a fondo alla compilazione dei suoi trattati teorici: “DIE KUNST UND DIE REVOLUTION” (“ARTE E RIVOLUZIONE”), “DAS KUNST-WERK DER ZUKUNFT” (“L’OPERA D’ARTE NEL FUTURO”), l’antisemitico “DAS JUDENTHUM IN DER MUSIK” (“L’EBRAISMO NELLA MUSICA”) e “OPER UND DRAMA”.
In seguito, di questi volumi, ebbe a dire:
“Ho cercato di esprimere in teoria quello che, a causa della divergenza tra le mie finalità artistiche e le tendenze generalmente accettate (specialmente, nell’opera lirica), non sarei stato in grado di esprimere nel modo dovuto attraverso la produzione artistica diretta”.
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Nei primi anni di esilio, aveva lavorato anche a “L’ANELLO DEL NIBELUNGO”.
Nel 1853, la stesura definitiva del libretto era pronta e Wagner passò alla composizione della musica.
Scrisse la musica de “L’ORO DEL RENO” e de “LA WALCHIRIA” e, in capo al 1857 era già a metà di “SIGFRIDO”.
Ma, a questo punto, interruppe il lavoro, per dedicarsi al dramma che più d’ogni altro avrebbe espresso la sua personalità: “TRISTANO E ISOTTA”.
L’atteggiamento emotivo di Wagner di fronte alla vita, la sua sete ardente di ideali sublimi e la sua incessante ricerca di esperienze nuove, più profonde e toccanti, improntarono anche il suo atteggiamento nei riguardi delle donne.
Il suo affetto per Minna si spense rapidamente e, come Don Giovanni, egli continuò a cercare la donna ideale.
Una di esse fu Jessie Laussot, il cui marito, ricco commerciante di vini francese, riuscì a impedire alla donna di fuggire col musicista proprio all’ultimo istante.
MATHILDE WESENDONCK
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/1a/Mathilde1850.jpg/150px-Mathilde1850.jpg
Passò qualche anno e, sempre a Zurigo, Wagner conobbe un ricco uomo d’affari, Otto Wesendonck, e la moglie di questi, Mathilde, una donna giovane e bella in cui Richard di nuovo “trovò il suo ideale”.
Il marito si rivelò un perfetto gentiluomo, appoggiando e aiutando Wagner, costruendogli infine una casetta nel proprio giardino.
Wagner accettò l’atto generoso come logico tributo al suo genio e si trasferì nel villino senza neppure un grazie.
Lì, visse per un certo tempo con la moglie e fu in gran parte merito del generoso Wesendonck se potè dedicarsi a lungo, durante il soggiorno a Zurigo, al suo lavoro creativo.
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A poco a poco, Mathilde Wesendonck venne ad assumere una parte importante nella vita di Wagner.
Creatura delicata, sensibile, appassionatissima d’arte, ella rimase affascinata dal musicista che, in seguito, ebbe a dire di lei: “Ha fatto di questi anni il periodo del mio più intenso rigoglio”.
L’amore di Mathilde rappresentò per Wagner (almeno, in parte), il raggiungimento di uno dei suoi sogni.
Ne “IL VASCELLO FANTASMA”, egli aveva presentato per la prima volta un’idea destinata in seguito ad affiorare in tutta la sua opera poetica: l’idea dell’Amore che si sacrifica per salvare l’uomo dalla dannazione.
In “TANNHÄUSER” e in “LOHENGRIN” appare lo stesso tema.
In Mathilde Wesendonck, Wagner vide una realizzazione di siffatto Amore.
Donna onesta e sincera, Mathilde non nascose il suo sentire al marito.
“Angosciato, ma disarmato, egli non potè non riconoscere la profonda onestà della moglie e riuscì a guardare con umiltà e rispetto a quell’Amore Sublime, al di sopra delle realtà terrene, un amore puramente spirituale, niente affatto fisico e, come tale, non trasgressore delle leggi coniugali”.
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Ma la catastrofe era inevitabile: nella primavera del 1858, Minna – che aveva osservato la relazione con crescente gelosia – entrò in possesso d’una lettera d’amore di Wagner a Frau Wesendonck e la situazione precipitò.
I Wesendonck partirono per un viaggio in Italia e, nell’agosto, Wagner abbandonava il suo “rifugio” (come chiamava la casetta nel giardino) per trasferirsi a Venezia. Minna raggiunse Dresda per riprendersi dalla pena sofferta.
A Venezia, Wagner condusse vita isolata, solitaria.
Assorto nei sogni di Mathilde, sotto l’ispirazione dell’Amore di lei, iniziò a comporre “TRISTANO E ISOTTA”.
A Zurigo, egli aveva già scritto la musica per cinque poesie della donna e due di queste, “IM TREIBHAUS” (“NELLA SERRA”) E “TRÄUME” (“SOGNI”), divennero studi preliminari per “TRISTANO”.
In una lettera successiva a Mathilde, il musicista scriveva:
“Mi accade spesso di vedere tradotti in realtà i miei sogni artistici.
E questa è la spiegazione del meraviglioso legame fra te e “Tristano e Isotta”.
Grazie, grazie ancora dal profondo dell’animo per avermi reso capace di scrivere “Tristano”.
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Dopo un breve soggiorno a Lucerna, nel 1859, Wagner tornò a Parigi.
I tre concerti corali e strumentali in cui egli presentò brani dei suoi drammi musicali vennero accolti con calda simpatia da taluni e con aspre critiche da altri ma, finanziariamente, l’impresa fu disastrosa.
Né la situazione migliorò quando Napoleone III accordò il permesso di mettere in scena “TANNHÄUSER” all’ “Opéra” l’opera cadde alla terza replica.
Durante il soggiorno parigino, Wagner divorziò da Minna.
La donna morì nel 1866.
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Nel 1861, Wagner ricevette l’amnistia politica.
Allora, si recò a Karlsruhe e, l’anno dopo, a Vienna, dove i dirigenti di quel teatro acconsentirono a mettere in scena “TRISTANO E ISOTTA” ; ma, quando, alla fine di una lunga serie di prove, si resero conto delle esigenze enormi del lavoro, la rappresentazione fu abbandonata.
(Il Mondo della Musica)
Battuto al computer da Lauretta
RICORDANDO RICHARD WAGNER NEL BICENTENARIO DELLA NASCITA
(Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883)
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PRIMA PUNTATA:
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Il padre di Wagner, funzionario di polizia, morì quando il figlio aveva appena pochi mesi e, di lì, a poco, la vedova si risposò con un vecchio amico di famiglia, LUDWIG GEYER, un attore di talento che si dilettava anche di pittura e poesia.
(Non ci sono prove a confermare l’ipotesi secondo cui Geyer sarebbe stato il vero padre di Wagner, anche perché pare che COSIMA LISZT WAGNER si sia presa cura di distruggere ogni documento in proposito).
Tramite Geyer, la famiglia entrò nel mondo teatrale e i figli maggiori – tre sorelle e un fratello – si dedicarono alle scene.
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Bimbo delicato, Richard veniva coccolato e accontentato in ogni cosa dalla madre e dal patrigno, e “bimbo viziato” rimase sino all’ultimo giorno di vita.
Non fu un fanciullo prodigio.
Quando, dopo la morte del patrigno, venne mandato (all’età di nove anni) in un collegio di Dresda, nessuno s’era ancora accorto del suo genio musicale.
A scuola, divorava libri su libri ed era eccezionalmente inclinato allo studio.
In particolare, amava il greco, che leggeva in misura assai più vasta di quanto non richiedessero i programmi.
Ma anche all’inglese si dedicava con intensità per essere in grado di leggere Shakespeare nell’originale e, a quattordici anni, traduceva in versi tedeschi un brano del “ROMEO E GIULIETTA”.
Era appassionato di Poesia germanica, di Storia e di Geografia.
Nei confronti dei compagni, fu un alunno cocciuto, testardo, ma la sua eloquenza e il suo spirito mordace lo aiutarono a trarsi più volte da situazioni scabrose (e sembra aver avuto numerose amicizie).
Proseguì gli studi a Lipsia dove, in segreto, scrisse un dramma truculento nel quale, nel giro di cinque atti, morivano ben quarantadue personaggi.
A scuola, tuttavia, non dimostrava capacità eccezionali e, quando, nella primavera del 1831, entrò all’Università di Lipsia come studente di Musica dedicò maggior tempo alla vita spensierata dello studente che non agli studi.
Lo si è descritto come un giovane dissoluto, a quel tempo, ed egli stesso scrisse di sé che era “sfrenato, debole e pigro”.
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La sua vita cominciò ad avere uno scopo quando Richard iniziò a prendere lezioni da Weinling, il “Kantor” della Thomasschule, e a studiare intensamente il contrappunto.
Primo risultato di tali studi furono alcuni saggi (una sonata, una polacca e una fantasia), nonché una sinfonia eseguita nel 1833 alla Gewandhaus.
Nel medesimo anno, si recò a visitare il fratello, cantore e direttore di scena al teatro di Würzburg e, là, ottenne l’incarico di direttore del coro.
Sempre a Würzburg, scrisse la prima opera “LE FATE” (su libretto tratto da “LA DONNA SERPENTE” di Carlo Gozzi), una composizione affatto convenzionale e ossequiosa allo stile allora in voga che rivelava ben poco, per non dire nulla, del futuro drammaturgo musicale, e che fu eseguita solo dopo la morte dell’autore.
Wagner trascorse ancora alcuni anni come maestro del coro presso i teatri di varie città tedesche.
Nel 1835, ultimò la sua seconda opera “IL DIVIETO D’AMARE”, rappresentata a Magdeburgo con discreto successo nel 1836.
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In questo periodo, a Magdeburgo, conobbe MINNA PLANNER, un’attrice, il cui carattere simpatico, modesto, alquanto materno lo colpì profondamente, tanto da spingerlo ad assediare la donna con veementi dichiarazioni d’amore.
E, ben presto, l’affetto divenne reciproco. In una lettera ad un amico, Wagner così scriveva:
“È sorprendente l’influsso che esercito su questa ragazza. Dovresti leggere le sue lettere … Hanno un calore che entrambi sappiamo benissimo non esserle naturale”.
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Nel 1836, il Teatro di Magdeburgo andò in fallimento.
Wagner restò senza lavoro e si trovò carico di debiti.
Minna lo aiutò in tutti i modi a far fronte ai creditori e, poi, partì per Königsberg, dove il direttore di quel teatro promise una sistemazione anche per Richard.
Egli la raggiunse di lì a poco e i due si sposarono nell’autunno.
Per ottenere il posto, tuttavia, Wagner dovette aspettare sino alla Pasqua dell’anno successivo, il 1837.
Nel dirigere le prove del coro per le opere di Meyerbeer, venne a conoscenza delle cifre astronomiche che, a Parigi, esse rendevano al compositore. (Ed egli, invece, doveva vivere alla giornata!).
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Fallito anche il teatro di Königsberg, Wagner si trasferì a quello di Riga col medesimo incarico, ma si convinse che Parigi era la città che poteva dargli fama.
Si accinse a comporre l’opera “RIENZI”, sicuro che essa avrebbe conquistato Parigi d’un colpo.
Terminato il secondo atto, però, non ebbe più la pazienza di aspettare e, chiesto in prestito il denaro che gli occorreva senza preoccuparsi nemmeno di come avrebbe fatto a restituirlo, nel 1839, insieme a Minna, salpò da Riga su un minuscolo veliero.
Il viaggio avventuroso, durante il quale la nave li portò lungo le coste della Norvegia, doveva ispirargli – in seguito – “IL VASCELLO FANTASMA” (o “L’OLANDESE VOLANTE”).
Finalmente, in condizioni pietose, il veliero giunse a Londra e Wagner, prima di proseguire per Parigi, sostò otto giorni nella capitale britannica.
(Il Mondo della Musica)
giovedì 12 dicembre 2013
BUON COMPLEANNO, LUCIANO PAVAROTTI!
http://youtu.be/xCFEk6Y8TmM
Luciano Pavarotti in “RIGOLETTO” di Verdi: LA DONNA E’ MOBILE
Luciano Pavarotti (Modena, 12 ottobre 1935 – Modena, 6 settembre 2007) è stato un tenore italiano.
È stato tra gli artisti italiani più apprezzati in tutto il mondo grazie alle sue capacità vocali e musicali, nonché per una riuscita gestione del proprio look e della propria immagine mediatica.
Dopo Enrico Caruso, Franco Corelli, Mario del Monaco e Carlo Bergonzi, è stato uno dei cantanti lirici italiani di massima notorietà a livello mondiale.
Con il "Pavarotti & Friends" e le sue numerose collaborazioni (fra le quali è da ricordare in particolare la costituzione del gruppo de "Tre Tenori", con Plácido Domingo e José Carreras), ha consolidato una popolarità che gli ha dato fama mondiale anche al di fuori dell'ambito musicale, tanto da essere considerato uno dei più grandi tenori italiani di tutti i tempi.
Con oltre 100 milioni di copie vendute nel mondo, si stima sia il secondo artista italiano per vendite, insieme a Patty Pravo e Toto Cutugno, dietro soltanto a Mina ed Adriano Celentano.
(Fonte: Wikipedia)
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