Opera in 3 atti su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni (tratto da “Le Mille e un Giorno” di Carlo Gozzi)
Musica di Giacomo Puccini (finale completato da Franco Alfano)
Epoca di composizione: luglio 1920 – ottobre 1924
Prima rappresentazione: Teatro “Alla Scala” di Milano, 25 aprile 1926
Versioni successive: un nuovo finale dell’opera è stato composto da Luciano Berio (2001)
Personaggi:
Turandot, principessa (soprano drammatico)
Altoum, suo padre, imperatore della Cina (tenore)
Timur, re tartaro spodestato (basso)
Calaf, il Principe Ignoto, suo figlio (tenore drammatico)
Liù, giovane schiava, guida di Timur (soprano lirico)
Ping, Gran Cancelliere (baritono)
Pang, Gran Provveditore (tenore)
Pong, Gran Cuciniere (tenore)
Un Mandarino (baritono)
Il Principe di Persia (tenore)
Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)
Guardie imperiali – Servi del boia – Ragazzi – Sacerdoti – Mandarini – Dignitari – Gli otto sapienti – Ancelle di Turandot – Soldati – Portabandiera – Ombre dei morti – Folla
Interpreti della prima rappresentazione:
Turandot (soprano) Rosa Raisa
L’Imperatore Altoum (tenore) Francesco Dominici
Timur (basso) Carlo Walter
Calaf (tenore) Miguel Fleta
Liù (soprano) Maria Zamboni
Ping , Gran Cancelliere (baritono) Giacomo Rimini
Pang, Gran Provveditore (tenore) Emilio Venturini
Pong, Gran Cuciniere (tenore) Giuseppe Nessi
Un Mandarino (baritono) Aristide Baracchi
Direttore: Arturo Toscanini
Trama:
Periodo storico: Al tempo delle favole.
Atto I
Un mandarino rende noto alla popolazione l’editto di Turandot che viene emanato quotidianamente, secondo il quale lei sposerà chi “di sangue regio” indovinerà i tre quesiti alquanto difficili che lei stessa sottopone; chi non ruscirà a risolverli, subirà il taglio della testa al sorgere della luna.
Sotto le mura della città proibita di Pechino, si ritrovano tre personaggi: sono identificati come Il Principe Ignoto, Timur (Il Re, suo padre) e Liù (la schiava – serva del vecchio re cieco, il cui figlio le aveva sorriso molto tempo prima, sostenendola a sopportare l’esilio per entrambi).
A causa della confusione, Timur cade a terra, Liù chiede aiuto (“Il mio vecchio è caduto”), per cui Calaf interviene, riconoscendo il padre e abbracciandolo commosso.
La folla delira perché vuole una nuova vittima del decreto di Turandot e si esalta maggiormente all’arrivo del boia, inneggiando alla Luna che è identificata quale simbolo mortale che personifica la purezza e la freddezza della Principessa Turandot e i fanciulli cantano una melodia che si ripete nello svolgimento dell’opera (“Là, sui monti dell’Est”), melodia che riguarda l’argomento del Mò-Lì-Hua, ossia il Fiore di Gelsomino: si tratta di una canzoncina cinese che viene intonata anche come ninna-nanna.
Tale folla, però, non è solo aguzzina e diventa anche pietosa, per cui chiede di salvare il giovane condannato che sta passando: Il Principe di Persia.
Il Principe Ignoto desidera fortemente vedere la crudele Turandot che biasima ma, appena la principessa appare brevemente per avvalorare la condanna, rimane conquistato dalla sua bellezza, come impazzito, per cui è spinto ad affrontare la prova dei tre indovinelli: “O divina bellezza, o meraviglia!“ e per cui vuole suonare il gong per sfidare e conquistare Turandot, rischiando la vita.
A nulla valgono le preghiere sarcastiche e le minacce buffe di tre maschere: i tre dignitari di corte Ping, Pong e Pang, lo trattano sarcasticamente per dissuaderlo, ma Calaf “non sente”.
Liù teme per Calaf (“Signore, ascolta”) e gli si rivolge perché non attui il suo folle proposito, ma non riesce a dissuaderlo: lei non vuole perdere il sorriso che l’ha incantata.
Lui la esorta: “Non piangere, Liù”. Lo esprime in modo fermo, lucido e, soprattutto, dolce; le raccomanda il padre e si incammina incontro a quanto il Destino ha scritto per lui.
Atto II
È notte.
Le tre maschere Ping, Pong e Pang riflettono in modo realistico che, con la loro carica di ministri del regno, sono obbligate a presenziare alle esecuzioni dei martiri di Turandot, ma opterebbero volentieri per la vita tranquilla nelle loro proprietà fuori Pechino, per cui si augurano che un vero amore ponga fine alla sete di sangue della principessa.
Mentre si prepara la cerimonia degli enigmi, l’Imperatore Altoum implora Il Principe Ignoto di rinunciare, ma la cosa è vana.
Quindi, davanti alla reggia, appare Turandot che, nella sua grande scena, dichiara a Calaf il suo comportamento: moltissimi anni prima (“or son mill’anni e mille”), dopo la caduta del regno, la sua ava Lou-Ling era stata rapita e uccisa da un principe straniero per cui, ora, vuole vendicarla del suo candore disonorato, a mezzo della sfida con i principi stranieri che “devono” risolvere i suoi enigmi, per cui la morte è l’espiazione sanguinaria.
Calaf li risolve correttamente: Turandot, incredula e disperata, implora il padre di difenderla verso lo straniero, ma l’imperatore e il coro le ricordano il giuramento che, sdegnosa, apostrofa il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“.
Calaf possiede la grandezza dell’eroe e consente a Turandot di non rispettare il voto per mezzo dell’unica possibilità di indovinare il suo nome prima dell’alba: se tale cosa avverrà, egli morirà come se l’esito della sua vittoria gli fosse sfavorevole.
La sfida viene accettata, mentre si diffonde l’inno imperiale.
Atto III
È notte e aleggia il mistero.
Le guardie cercano minuziosamente nei giardini in cerca di informazioni e gli araldi consegnano il nuovo ordine della principessa che impone che “Questa notte, nessuno dorma, in Pechino, pena la morte; il nome dell’ignoto sia segnalato prima del mattino!”.
Calaf è sicuro di vincere e canta la famosa aria “Nessun dorma”.
Ping, Pong e Pang, gli comandano di arrendersi alla sfida, che si accontenti di avere vinto gli enigmi e parta per non tornare mai più, ma egli rifiuta offerte di denaro, donne e gloria. Calaf ha vinto, ma vuole vincere anche sull’orgoglio e sull’odio interiore di Turandot. Vuole vincere il suo gelo interiore a causa di un crimine vecchissimo. E’ sicuro di vincere.
Mentre aspetta l’alba, Calaf comincia a ritrovarsi in una specie di angoscia perché Liù e Timur che, poche ore prima, erano stati notati assieme a lui, vengono condotti in presenza di Turandot e dei tre ministri.
Liù, decisamente, afferma di essere l’unica a conoscere il nome del principe Ignoto e, pur venendo torturata, non cede, per cui – di fronte a tanta stabilità morale – Turandot le chiede come possa sopportare una prova atroce.
Liù risponde soavemente: “Principessa, l’Amore”.
Nonostante la sua glacialità, Turandot rimane turbata, ma si controlla e ordina ai tre ministri di scoprire il nome dell’Ignoto: costi quel che costi.
Liù, sa che non riuscirà a sopportare ancora per molto e, di sorpresa, strappa un pugnale ad una guardia e si uccide.
Timur, cieco, non comprende l’accaduto e, quando Ping gli rivela la verità, abbraccia Liù, il cui corpo viene condotto via seguito dalla folla in preghiera.
Turandot e Calaf restano soli e il principe è alterato verso la principessa, per avere causato troppo male provocato dalla sua rabbia: Turandot, un essere privo di sentimenti (“Principessa di Morte”), ma Calaf si fa riprendere dall’amore di cui non sa liberarsi.
E’ respinto da Turandot che, poi, ammette che la prima volta che lo ha visto lo ha temuto, ma che ormai è schiava della passione, che li porta ad un bacio caloroso.
Ma, essendo orgogliosa, implora Calaf di non umiliarla. Calaf le rivela il suo nome e la sua vita è nelle mani di lei: Calaf, figlio di Timur.
Il giorno dopo, una folla immensa è radunata davanti al palazzo imperiale e si odono gli squilli delle trombe.
Turandot dichiara a tutti il nome dello straniero: ” Il suo nome è Amore”.
Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.
Brani celebri:
Atto I
Gira la cote! (coro del popolo e degli aiutanti del boia)
Perché tarda la luna? Invocazione alla luna (coro) Là sui monti dell’est (coro di ragazzini che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua).
Signore, ascolta!, romanza di Liù
Non piangere, Liù!, romanza di Calaf Concertato finale
Atto II
Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle maschere
In questa reggia, aria di Turandot
Straniero, ascolta!, scena degli enigmi
Atto III
Nessun dorma, romanza di Calaf
Tanto amore, segreto e inconfessato – Tu che di gel sei cinta, aria (in due parti) e morte di Liù
Liù, Liù sorgi…Liù bontà, Liù dolcezza, aria di Timur
Discografia e Incisioni note:
Gina Cigna, Magda Olivero, Francesco Merli, Luciano Neroni, Afro Poli Franco Ghione Warner Fonit
Inge Borkh, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, Nicola Zaccaria, Fernando Corena Alberto Erede Decca Records
Maria Callas, Elisabeth Schwarzkopf, Eugenio Fernandi, Nicola Zaccaria, Mario Borriello Tullio Serafin EMI Classics
Birgit Nilsson, Renata Tebaldi, Jussi Björling, Giorgio Tozzi, Mario Sereni Erich Leinsdorf RCA Victor
Birgit Nilsson, Renata Scotto, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti, Guido Mazzini Francesco Molinari Pradelli EMI Classics
Joan Sutherland, Montserrat Caballé, Luciano Pavarotti, Nicolaj Ghiaurov, Tom Krause Zubin Mehta Decca Records
Montserrat Caballé, Mirella Freni, José Carreras, Paul Plishka, Vicente Sardinero Alain Lombard EMI Classics
Katia Ricciarelli, Barbara Hendricks, Plácido Domingo, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik Herbert von Karajan Deutsche Grammophon
Eva Marton, Margaret Price, Ben Heppner, Jan-Hendrik Rootering, Bruno de Simone Roberto Abbado RCA Victor
Registrazioni dal vivo:
Birgit Nilsson, Anna Moffo, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti Leopold Stokowsky Metropolitan New York
Birgit Nilsson, Leontyne Price, Giuseppe Di Stefano, Nicola Zaccaria Francesco Molinari Pradelli Wiener Staatsoper
Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Roberto Scandiuzzi Daniel Oren Teatro Margherita
Giovanna Casolla, Katia Ricciarelli, Lando Bartolini, Sergio Fontana Rico Saccani Avenche, Arena – CASCAVELLE CD
Giovanna Casolla, Masako Deguci, Lando Bartolini, Francisco Heredia, Javier Mas, Vicenc Esteve Alexander Rahbari Malaga, 2001 – NAXOS CD
Maria Dragoni, Maria Luigia Borsi, Franco Farina Keri Lynn Wilson Teatro dei Quattromila, Torre del Lago Puccini
Maria Guleghina, Marina Poplavskaja, Marcello Giordani, Samuel Ramey Andris Nelsons Metropolitan Opera House
DVD:
Eva Marton, Katia Ricciarelli, José Carreras, John Paul Bogart Lorin Maazel TDK
Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Ivo Vinco Maurizio Arena NVC Arts
Eva Marton, Leona Mitchell, Plácido Domingo, Paul Plishka James Levine Deutsche Grammophon
Giovanna Casolla, Barbara Frittoli, Sergej Larin, Carlo Colombara Zubin Mehta Warner Classics
Giovanna Casolla, Sandra Pacetti, Nicola Martinucci, Simon Yang Carlo Palleschi EMI
Maria Guleghina, Salvatore Licitra, Tamar Iveri, Luiz-Ottavio Faria Giuliano Carella Bel-Air Classiques
LE RIFLESSIONI di Lauretta:
L’Opera, intesa come Buona Musica, non può cambiare, perché è sacrosanta, straordinaria, eterna; però, come tutto, ha subito cambiamenti attraverso il tempo.
I grandi compositori che vi si sono avvicendati si chiamano Mozart, Beethoven, Wagner, Strauss, Verdi, Puccini, Donizetti, Ciaikovskij, …
L’Italiano è stato la lingua dei libretti dell’Opera Lirica (nata in Italia) anche dei compositori stranieri che, in seguito, traducevano nella propria lingua (soprattutto, Mozart).
Però, tale “potere di supremazia” si è ridotto, per cui i libretti vengono scritti in varie lingue.
Puccini vuole migliorare e raggiungere un rinnovamento incisivo autorevole e rispettato, per cui così scrive: < Rinnovarsi o morire? L’armonia di oggi e l’orchestra non sono le stesse … io mi riprometto, … se trovo il soggetto di far sempre meglio nella via che ho preso, sicuro di non rimanere nella retroguardia >.
Quindi, Turandot, soggetto fiabesco (cosa Insolita per lui) E’ la sfida di Puccini verso sé stesso: decide che sarà la sua opera più rappresentativa e originale, con pagine vive e ricche di ispirazione.
Puccini, uno dei più grandi operisti, da persona unica e riflessiva, affronta ogni suo lavoro emotivamente con un’applicazione, un interesse, un attaccamento e una cura come li hanno pochi: anzi, Puccini è un compositore ineguagliabile.
L’opera “un po’ allegorica” TURANDOT è una fiaba ma, contemporaneamente, contiene un dramma reale perché presenziano le uccisioni dei principi che non sanno risolvere i tre enigmi (fra cui, il Principe di Persia) e il suicidio di Liù.
Infatti, fin dall’inizio dell’opera, nonostante le melodie esotiche e solenni ci introducano nella magica “epoca delle favole”, si percepiscono la potenza, la crudeltà, l’arcano, portando alla tristezza della tragedia.
Nel I atto dell’opera Turandot di Puccini, la popolazione inneggia alla Luna che, da sempre, ha affascinato tutti attraverso il cielo, la Scienza e la Poesia: la luna ci ha sempre offerto fenomeni fantastici come la Luna Bianca, la Luna Rossa, la Luna Blu, la Luna Grande, l’eclissi.
E, sempre in Turandot, la storia d’amore inizia solo al termine dell’opera, ma è doveroso ricordare che, chi propone a Puccini di trarre un’opera da una fiaba, è il giornalista e scrittore teatrale veneziano Renato Simoni che punta alla capacità del lavoro di dimostrare la < inverosimile umanità del fiabesco >, lavoro per cui lo stesso Puccini è entusiasta e riesce a mettere in evidenza la grande tragicità di Turandot.
Pur essendo un’opera-fiaba “allegorica”, trasmette l’esempio fermo della competizione attraverso il dualismo maschile-femminile, giorno-notte, vita-morte, …
Turandot e Calaf significano la “guerra” fra la donna e l’uomo, arrivando al “compromesso” dell’Amore.
Oltre ad essere “l’opera del Mistero” e delle contraddizioni.
Affascinante, senza dubbio, mentre provoca interrogativi e riflessioni in chi la segue mentalmente: gli enigmi e lo scoprire il nome del Principe Ignoto, l’adozione da parte di Turandot dei segni bianco e nero (positivo e negativo), Turandot e la sua personalità, l’Amore, il finale dell’opera; tutti misteri da chiarire.
“Qui termina la rappresentazione perchè a questo punto il Maestro è morto”.
E’ il 25 aprile 1926.
Chi pronuncia queste parole è Arturo Toscanini che appoggia la bacchetta e interrompe lo svolgimento della prima rappresentazione di “Turandot” di Puccini perché il Maestro l’ha composta completamente fino alla morte di Liù, la fanciulla che, portata a spalle fra le quinte, personifica uno dei personaggi-simbolo femminili pucciniani.
Il finale di Alfano presenzia nelle rappresentazioni delle sere seguenti, ma la direzione è di Ettore Panizza perché Toscanini non dirigerà mai più l’opera.
Puccini compone il coro funebre per Liù e, secondo qualcuno, raggiunge “il massimo splendore della sua musica”, ma non continua perché, secondo lui, l’opera è ultimata.
Però, dopo la morte del compositore, in effetti, Turandot ha due finali: Alfano I e Alfano II.
Il secondo, in realtà, dovrebbe imputarsi a Toscanini, visti i suoi robusti interventi nelle parti da eseguire per terminare i passi dell’opera: questo breve finale si dirige velocemente verso il lieto fine che conclude l’opera; finale che abbiamo sempre ascoltato.
Nel 2001, si ha un nuovo finale di Turandot per merito di Luciano Berio (1925 – 2003) che ha cercato di scovare il più possibile lo spirito e le intenzioni originarie di Puccini dai suoi appunti, per cui, nel suo finale, il suo stile viene evidenziato.
Non è da dimenticare la versione del 1988 (mai eseguita) della studiosa statunitense Janet Maguire.
Per alcuni studiosi, l’opera resta incompiuta per l’impossibilità psicologica di Puccini di spiegarsi la trasformazione finale della fredda e sanguinaria Turandot in una donna capace di nutrire amore: il “bolide luminoso” di Puccini doveva trasformare la principessa “da dea assetata di sangue a donna innamorata e umana”.
Turandot, UN CAPOLAVORO ARTISTICO E MUSICALE per cui Puccini ha capito molto bene “La passione amorosa di Turandot che, per tanto tempo, ha soffocato sotto la cenere del suo grande orgoglio”.
E’ EVIDENTE CHE PUCCINI HA VOLUTO COMPIERE UN MIRACOLO PSICOLOGICO DI GRANDE VALORE.
FORSE, HA PRECORSO UN PO’ LA FANTASCIENZA.
Calaf:
L’alba dissolve le tenebre: questo esempio rappresenta Calaf.
Contrariamente alle altre sue opere, Puccini, qui, rende fortissimo il personaggio maschile attraverso il trionfo dell’Amore, il trionfo della Vita.
Calaf è il simbolo dell’Amore sotto vari aspetti, soprattutto dell’Amore verso il Prossimo: addirittura, da vincitore e con signorilità, non vuole che Turandot sia obbligata a concedersi e le rivela il suo nome, rischiando di perdere la vita.
Calaf vuole vincere l’orgoglio e l’odio della sadica principessa, vuole vincere il suo freddo scudo di autodifesa e continua anche dopo che Turandot, malvagiamente, lo nota “sbiancato dalla paura” e prosegue, volendo provocare nella principessa il senso dell’amore e della vita sulle cose cattive.
Non è tanto la ragione logica che lo guida, ma i suoi impulsi ed emozioni equilibrati, unitamente al sacrificio di Liù: “L’Amore è un valore intenso e un sapere”.
Mentre aspetta l’alba, Calaf vede trascinati, presso la principessa, suo padre Timur e Liù.
Liù è coraggiosa e non volendo fare soffrire Timur, dichiara di essere la sola a conoscere il nome del Principe Ignoto e, nonostante la tortura, rimane ferma sul suo comportamento, suscitando la curiosità di Turandot che le chiede come possa superare tale prova tremenda e priva di speranza.
Nasce, quindi, il paragone fra le personalità di Liù e Turandot che genera una specie di sfida fra la schiava remissiva e Turandot, non disposta a cedere e con un carattere insolito per un personaggio pucciniano: infatti, Puccini vuole “nuovi” personaggi per la sua musica “nuova”.
Calaf viene circondato dalla folla, con in testa, i tre Ministri Ping-Pong-Pang che lo vogliono persuadere di lasciare perdere tutto e di salvarsi assieme a Timur e a Liù.
Però, Calaf è un eroe nato e rifiuta tutto ciò che gli viene offerto, implorando l’alba per trionfare sulla freddezza di Turandot.
Liù:
Risulta evidente che Puccini, mago del canto intenso interiore, è attratto dai personaggi femminili giovani che rinunciano alla vita lasciandosi andare o suicidandosi per amore, destando nello spettatore commozione (in Psicologia, sicuramente, freddamente, sarebbero definiti paranoici o delusi depressi).
Liù, pur essendo innamorata “lucida” fino alla follia, attraverso la romanza “Tu che di gel sei cinta da tanta fiamma avvinta, l’amerai anche tu”, è consapevole che morirà perché la principessa si arrenderà al principe ignoto.
Oltre all’amore sentimentale, Liù NON vuole vedere il suo principe amare un’altra e si uccide col pugnale sottratto velocemente ad una guardia, provocando stupore, commozione e pietà.
Liù, piccola grande donna costruita sull’esempio sacrificale di Ciò-Ciò-San, è solo una piccola schiava, sottomessa e semplice, ma è coerente, dignitosa, decisa; rappresenta l’Amore purissimo: infatti, generosamente, muore affinché il suo principe possa essere felice amando un’altra.
Non si trova sulla stessa altezza di Turandot ma, prima di uccidersi, si rivolge a Turandot come se fosse tale e, per pochi attimi, la sua personalità si trova effettivamente sullo stesso livello di quello della principessa: infatti, la distanza sociale e di temperamento sono come annullate.
Anzi, più precisamente, per pochi istanti la personalità di Liù domina addirittura quella di Turandot, in quanto il suo interiore è proprio di una persona che SA amare il Prossimo, a differenza di Turandot.
Che Liù dia prova suprema, sacrificando la propria vita in presenza di Turandot, è lampante e lo dimostra riconoscendo che la forza del suo amore le viene attraverso “Tanto amore segreto, e inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio Signore…”.
Questo lascia la principessa smarrita perché non capisce come una umile schiava possa amare “l’uomo, il nemico del genere femminile”, fino a perdere la vita per lui (dopo la decisione presa già da tempo da Liù di esprimere che lei sola conosce il nome del Principe Ignoto).
Non capisce visto che Liù non ha più speranza dal momento che Calaf ama Turandot: Turandot che dimentica che suo padre E’ UN UOMO e sua madre l’ha partorita GRAZIE AL SEME DI UN UOMO.
Infatti, Liù, fanciulla dolce, umile, con abnegazione, essere umano ed eroina romantica, cede alla disperazione perché non vuole vedere la vittoria di Turandot e non sopporta di vedere il “suo” Principe fra le braccia di un’altra, per cui – nonostante lo voglia felice – preferisce morire: “Io chiudo stanca gli occhi perché egli vinca ancora… per non… per non vederlo piu!”.
La sua morte contribuisce notevolmente al “disgelo” di Turandot: Il suo amore verso tutto e tutti rinasce in Turandot, come una reincarnazione.
Ci si affeziona al personaggio di Liu’ perché LIU’ È IL SIMBOLO DELL’AMORE e DELLA BONTÀ.
Turandot:
La luna rappresenta Turandot, la bellissima, arida, crudele e distruttriva Principessa: candida, idealmente distante, con la sensazione di freddezza.
E’ talmente bella che riesce ad illuminare tutto e tutti, pur rappresentando la Morte, l’Egoismo, il Narcisismo, la Superiorità e la Pazzia.
Turandot UCCIDE per reazione ad un forte TRAUMA: nella sua grande aria, Turandot rende noto che ha ideato i tre quesiti per i prìncipi che vorrebbero sposarla.
Il motivo è una conseguenza a quanto successo “or son mill’anni e mille” ad una sua ava, Lo-u-Ling, una principessa sovrana preda del Re dei Tartari e da lui violentata e uccisa.
Il momento particolare è ripetuto ed evidenziato sulla sua morte per volere di un uomo, “simbolo del male” e, in particolare, sul grido dell’ava dove rivive il momento tragico.
Per cui, la frustrata Turandot, esprimendo la sua inflessibilità, vendica quella morte e ammonisce il Principe Ignoto che, se non risolve i tre enigmi, morirà: “Gli enigmi sono tre, la morte è una!“.
Ma il Principe Ignoto, idem inflessibile, risponde “Gli enigmi sono tre, uno è la vita!“.
Qui, interiormente, volendo imporsi l’una sull’altro, il conflitto e la competizione dei due risultano forti.
Il Principe Ignoto risolve esattamente gli enigmi, Turandot è vinta e “annaspa”, invocando l’aiuto di suo padre, l’Imperatore, per non essere data ad uno straniero.
Le viene risposto che deve rispettare il giuramento: Turandot, adirata e arrogante, si scaglia contro il principe vincitore: “Mi vuoi nelle tue braccia a forza, riluttante, fremente?“.
Il Principe Ignoto possiede una grande generosità d’animo che gli consiglia di rifiutare un’eventuale situazione, per cui sfida Turandot ad indovinare il suo nome prima dell’alba: in caso positivo per Turandot, egli morirà come se fosse stato sconfitto.
Turandot accetta e l’Imperatore è oggetto di plauso dalla folla.
Compulsività di Turandot?
Apro una parentesi per citare che si sono verificati casi, nella nostra società moderna, dove alcune persone se la prendono con chi non c’entra, ma solamente perché appartengono ad una categoria di esseri viventi: ad esempio, anni fa, una donna aveva fatto sesso con un uomo, in una stanza d’albergo, dopodiché – prima di andarsene e prima che l’uomo si svegliasse – ha scritto a mezzo di rossetto, sullo specchio: “Sono malata di AIDS”.
Questo è stato un modo reattivo (sicuramente, compulsivo e seriale) di vendicarsi di un uomo che l’aveva fatta soffrire: chissà con quanti altri se l’è presa!
Turandot è incuriosita dalla tenacia con cui Liù, socialmente inferiore a lei, sostiene la sfida di Calaf e, per la prima volta, tocca l’argomento Amore percependo che esiste un sentimento più forte della sua rabbia in corpo attraverso la risposta struggente della schiava che possiede un amore purissimo e sacrificale.
Subito dopo la morte di Liù, durante il lamento funebre, Calaf, in preda al furore, quasi aggredisce Turandot e la costringe a vedere il sangue sparso da Liù, la costringe a scendere “sulla Terra” dal suo “tragico cielo” in cui si è “autoriparata”.
Lei si sente spiazzata dal comportamento di Calaf, per cui gli fa presente la sua superiorità: “Che mai osi, straniero! Cosa umana non sono. Son la figlia del Cielo, libera e pura”.
Ma il principe, subito, passa al bacio, “profanandola” e provocando la caduta della sua ritrosia che annulla per sempre la parte avversa di Turandot: “Che è mai di me? Perduta!”.
Psicologicamente, “la nuova Turandot” nasce dalla liberazione dal suo odio e dal suo gelo emotivo attraverso la reazione positiva ai suoi sentimenti negativi e dalla morte di Liù che le parla e si uccide.
Calaf riesce nel suo scopo unendo – psicologicamente – il comando alla sua gentilezza d’animo quando “lo scudo di autodifesa” di Turandot si allenta, constatando che “Il gelo tuo è menzogna!” perché è pronta alla conversione della nuova personalità-nuova nascita, per cui Calaf canta “Mio fiore mattutino …”.
Psichicamente, Turandot è nata essere normale, ma un forte trauma l’ha trasformata in un mostro umano perché è complessa, è devastante, per cui rappresenta il Nulla.
E’ un personaggio con la mente scura, ermetica per cui, da psicologicamente fragile e sbilanciata, per lei, l’amore è violenza e terrore, verso il quale prova rigetto e rifiuto interiori.
Ma, attraverso il bacio di Calaf, il ghiaccio di Turandot viene sciolto: Calaf le rivela il proprio nome nel culmine intenso del momento, consegnando la sua vita a lei.
Turandot rivela all’imperatore e alla folla che il nome dello straniero è Amore, sortendo l’effetto di una grande felicità.
TURANDOT E’ UN PERSONAGGIO INTERESSANTE CHE INTRIGA MOLTO.
Timur:
Vecchio re spodestato, senza più patria, costretto ad errare.
Affezionato a Liù, ossia “i suoi occhi”, rimane addoloratissimo quando muore: “Apri gli occhi, Colomba”.
Vivrà con Calaf, nella reggia, ma i suoi giorni saranno alquanto tristi senza la sua Colomba.
Battuto al computer da Lauretta
CORO DEL POPOLO E DEGLI AIUTANTI DEL BOIA, “GIRA LA COTE!”:
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ZUBIN MEHTA dirige il CORO “PERCHE’ TARDA LA LUNA?”:
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CORO “LA’, SUI MONTI DELL’EST” (melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo-Li-Hua):
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Il soprano ANNA NETREBKO canta “SIGNORE ASCOLTA”:
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Il tenore FRANCO CORELLI canta “NON PIANGERE, LIU’”:
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Guido Mazzini (Ping) Franco Ricciardi (Pang) Piero de Palma (Pong) cantano il TERZETTO DEI MANDARINI, “HO UNA CASA NELL’HONAN”:
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SECONDA PARTE DEL SECONDO ATTO con LA GRANDE ARIA DI TURANDOT (“IN QUESTA REGGIA”):
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Il tenore MARIO DEL MONACO canta “NESSUN DORMA”:
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Il soprano RENATA TEBALDI canta “TANTO AMORE SEGRETO E INCONFESSATO … TU CHE DI GEL SEI CINTA”:
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SCENA FINALE: