RICORDANDO LE APERTURE DI STAGIONI LIRICHE: DON CARLO
7 dicembre 2008 - DON CARLO di GIUSEPPE VERDI – INAUGURAZIONE DELLA STAGIONE LIRICA AL TEATRO “ALLA SCALA” di Milano - opera in quattro atti su Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle - traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini
PERSONAGGI ED INTERPRETI DEL CAST COMPLETO:
Filippo II = Ferruccio Furlanetto
Don Carlo = Stuart Neill
Rodrigo = Dalibor Jenis
Il grande inquisitore = Anatolij Kotscherga
Un frate = Diogenes Randes
Elisabetta di Valois = Fiorenza Cedolins
Tebaldo = Carla Di Censo
Conte di Lerma = Cristiano Cremonini
Araldo reale = Carlo Bosi
Voce dal cielo = Irena Bespalovaite
Sei deputati fiamminghi = Filippo Bettoschi, Davide Pelissero, Ernesto Panariello, Chae Jun Lim, Alessandro
Spina, Luciano Montanaro
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala diretti da DANIELE GATTI
MILANO: DON CARLO di Verdi alla SCALA…
…inaugura
Grande attesa al Teatro alla Scala di Milano per questa sofferta prima del “Don Carlo” di Giuseppe Verdi, Opera in quattro atti su Libretto di François-Joseph Méry e Camille Du Locle, traduzione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini, nuova produzione del Teatro milanese, che si è tenuta a partire dalle 18 del 7 dicembre 2008 e che ha mobilitato non solo
Ma, a prescindere dal pubblico variopinto che ha affollato il teatro in ogni ordine di posti, con loggione strabordante e, come spesso accade, dissenziente a suon di fischi e “buh”, questa volta nei confronti del Direttore Daniele Gatti, forse anche per via della sostituzione a sorpresa del tenore, NON si può dire che questo “DON CARLO” sia stato un fiasco; tutt’altro: sarà stata l’atmosfera scaligera, come sempre un po’ “surriscaldata”, sarà stato il fascino che l’ “Opera Verdiana” porta in sé, certo è che in alcuni tratti ci si poteva anche sollevare un palmo dal velluto rosso della poltrona. - A tratti, appunto, perché tutti gli interpreti, sebbene corretti ed apprezzati, non erano della medesima “statura” vocale, scenica ed interpretativa ed erano diretti da una specie di “tiranno” Gatti, che tirava giù dritto alla grande, senza perdonare il minimo “rubato” di chicchessia, con il risultato poco convincente di lasciare così, per esempio, al primo atto, una battuta fuori tempo il pur ottimo Rodrigo, Marchese di Posa di Dalibor Jenis, che si è avvalso di una seguente, lunga pausa scritta per riprendersi.
Questo ed altri “nèi” nella direzione sono stati colti appieno dal pubblico degli intenditori, che non hanno esitato a dimostrare al Direttore il proprio disappunto, ascoltando un’ottima orchestra ben inquadrata sì, ma che, in alcuni tratti, costringeva a sua volta i cantanti ad un canto quasi solfeggiato; nonché un volume sonoro di improba altezza per gli interpreti sul palcoscenico. I coloriti, insomma, si sono lasciati desiderare, ma nel complesso il pubblico in maggioranza ha, alla fine, applaudito anche il Direttore.
In scena, la versione italiana del 1884 (la più concisa delle cinque conosciute) curata da Verdi per
Ferruccio Furlanetto, “gran basso d.o.c.”, ha giganteggiato su tutti, tenendo in pugno l’intera rappresentazione, impersonando un Filippo II duro, dolente, amoroso, in fondo, ma monarca imbrigliato nelle fosche trame della Chiesa. Gran scena quella dell’ “Ella giammai m’amò”, che è culminata in un duetto-scontro tra bassi, con il Grande inquisitore Anatolij Kotscherga (che sostituiva Matti Salminen, indisposto), che non lesinava voce, possanza e prestanza fisica…Forse un po’ troppa, per un “Frate” novantaduenne e cieco, stranamente porporato in questa occasione.
Altra vera “perla”,
Ulteriore stella, la mezzosoprano Dolora Zajick, evidentemente più a suo agio nei panni di Azucena, che in quelli della Principessa d’Eboli, che ha tuttavia saputo dar corpo al suo personaggio, con voce possente dai gravi perfettamente sostenuti e rotondi agli acuti limpidi e potenti, una rara capacità “mimetica”, che è propria solo delle grandi cantanti.
Che dire del tenore Stuart Neill, che si è ritrovato addosso il macigno di una prima alla Scala come protagonista dell’opera? Voce gradevole e limpida, dizione sufficientemente corretta, presenza scenica “pesante” alla Pavarotti, ma portata con una certa disinvoltura, ha saputo condurre al termine una recita che si presentava davvero come un crudele trabocchetto per se stesso e per la riuscita dell’intero spettacolo.
Altro cantante da apprezzare il baritono Dalibor Jenis, un Rodrigo che è andato crescendo nel corso della rappresentazione, insieme alla rappresentazione stessa, sia come voce, che come presenza scenica. La giovane età lascia ben sperare per il futuro; DIOGENE RANDES, un monaco-Carlo V, il paggio Tebaldo, Carla Di Censo; il Conte di Lerma, Cristiano Cremonini; l’Araldo reale, Carlo Bosi;
Scene scarne, quasi “monastiche” e accorta regia di Stéphane Braunschweig, che ha “inventato” una sorta di “alter ego bambino” per i tre protagonisti Carlo, Elisabetta e Posa, rendendo a tratti assai suggestiva la rappresentazione, come portando sul palcoscenico dei flash-backs dei personaggi principali, che si amavano ed agivano come avevano imparato a fare condividendo un’infanzia, se non “vicina” con gli altri due per Elisabetta, quanto meno “simile” e rendendo possibile un dialogo con se stessi, proprio dell’anima di ciascun protagonista; ed anche che Carlo-bambino venisse metaforicamente tolto di mezzo prematuramente dal padre, facendolo ardere nel rogo del solenne e tetro Auto da Fè.
Una regia che ha saputo, nonostante qualche momento di staticità, evidenziare l’eterno conflitto tra lo Stato e
Gradevoli assai i costumi di Thibault van Craenenbroeck, ben calati nell’epoca e le adeguate luci di Marion Hewlett.
Insomma: una prima scaligera che non può passare inosservata, anche se non si effettuano i conteggi di quante volte sia stato rappresentato il Don Carlo alla “RIMA” e da chi sia stato diretto. Una gran “macchina”, che è riuscita, anche se non costantemente, a coinvolgere lo spettatore, che si è sorbito, senza colpo ferire né sbadiglio alcuno, le ben quattro ore e dieci minuti di spettacolo che
Milano, Teatro alla Scala, 7 dicembre 2008
Natalia Di Bartolo
A PRESCINDERE da quanto sopra, DESIDERO DIRE ALCUNE COSE circa “DON CARLO” .
L’opera viene rappresentata a Parigi, l’11 marzo 1867, esattamente 16 anni dopo “RIGOLETTO”, e potrebbe essere possibile che cada sotto lo stile affascinante dominante all’ “Opéra” di Parigi, teatro per cui l’opera viene composta.
Il risultato è quello riconosciuto ad un’opera di grande importanza a causa dei grandi sviluppi dell’arte verdiana e a causa del suo grande e indiscusso valore: infatti, diciassette anni dopo, Verdi la revisiona eliminando i ballabili, snellendo alcune scene e tagliando l’intero primo atto.
È innegabile che l’aria di FILIPPO II, “Ella giammai m’amò”, sia tra le più belle del repertorio per basso dove emergono l’espressione nobile e il dolore accorato.
Fra le migliori arie di Verdi, c’è quella di ELISABETTA, nell’ultimo atto: ha respiro melodico e ricchezza dello sviluppo.
Da non dimenticare il duetto fra IL GRANDE INQUISITORE e FILIPPO II che colpisce per la potenza drammatica e con lo stile omogeneo.
Epoca: 1560.
Luogo: Spagna.
ATTO I
Dopo un breve coro di cacciatori che si allontanano, DON CARLOS (tenore), Infante di Spagna, s’incontra con la principessa ELISABETTA DI VALOIS (soprano), che gli è stata promessa in sposa. Egli le si presenta in incognito e fra i due giovani nasce una passione. Allora, Don Carlos rivela il proprio nome. Ma giunge un messo recante l’annuncio che ENRICO DI FRANCIA ha concesso Elisabetta in matrimonio a FILIPPO II di Spagna (basso), padre di Don Carlos, come suggello d’amicizia fra le due nazioni.
Elisabetta sacrifica il proprio amore per il bene del popolo. L’atto si chiude con un coro di esultanza, mentre Don Carlo – rimasto solo – è affranto dal dolore.
ATTO II
Parte Prima – Scena: Il chiostro del convento di San Giusto. - È l’alba. Dalla cappella giunge un coro di frati celebranti CARLO V, ivi sepolto. Allo spuntar del giorno giunge Don Carlo, disperato per la perdita di Elisabetta. Egli s’incontra con RODRIGO , MARCHESE DI POSA (baritono), suo intimo amico, con il quale si confida. Questi lo esorta ad allontanarsi dalla Spagna accogliendo l’invito del popolo fiammingo che lo invoca per essere liberato dall’oppressore.
Parte Seconda – Scena: Luogo ridente, alle porte del chiostro di San Giusto. – La principessa EBOLI (mezzosoprano) , attorniata da dame della regina e da paggi, canta la “Canzone del Velo”, di stile spagnoleggiante. - Viene Elisabetta e, poco dopo, Rodrigo, che le consegna di nascosto uno scritto di Carlo, il quale chiede di essere ricevuto dalla regina, prima di partire. Questa acconsente con trepidazione mentre Eboli, che pure ama segretamente Carlo, resta insospettita.
Quando Carlo si presenta alla regina, tutti si allontanano. Egli prega Elisabetta di ottenere dal re il permesso di partire in esilio per le Fiandre; poi tenta di riaccendere in lei la passione del primo incontro. Ma poiché la regina oppone un rifiuto, Carlo fugge disperato. – Sopraggiunge Filippo II con la corte. Costui condanna all’esilio
ATTO III
Parte Prima – Scena: I giardini della regina a Madrid. – Don Carlo legge un biglietto anonimo che gli fissa un appuntamento notturno. Egi è convinto di incontrarsi con Elisabetta. Giunge, invece, Eboli coperta con un velo, la quale ama Carlo e si crede da lui riamata. – Quando ella scopre che Carlo è invaghito della regina, la gelosia e il furore prorompono dal suo animo. Interviene Rodrigo che cerca invano di placarla e, per salvare l’amico nel caso che Eboli lo facesse arrestare, si fa dare le carte compromettenti che questi ha seco.
Parte Seconda – Scena: Una gran piazza innanzi a Nostra Donna d’Atocha. – Un gruppo di condannati dal Sant’Uffizio viene condotto al rogo da un corteo di frati, fra due ali di popolo.
Si aprono le porte del palazzo ed esce la regina con
Il corteo riprende il cammino per la cerimonia dell’ < auto-da-fè >, mentre le fiamme si alzano dal rogo dei condannati.
ATTO IV
Parte Prima – Scena: Il gabinetto del re a Madrid. – La principessa Eboli, per vendicarsi di Carlo, ha consegnato a Filippo un cofano in cui la regina racchiude le cose più care, affinché – aprendolo – il re scopra i segreti della propria consorte. – Frattanto, il sovrano – credendosi tradito – si abbandona a dolorose riflessioni e canta:
Ella giammai m’amò!
No! Quel cor chiuso è a me,
amor per me non ha, per me non ha!
Io la rivedo ancor
Contemplar triste in volto il mio crin bianco
Il dì che qui di Francia venne.
No, amor per me non ha!
(Incisioni più note: TANCREDI PASERO, CESARE SIEPI, NICOLA ROSSI LEMENI – Cetra; BORIS CHRISTOFF – Col.*; CESARE SIEPI, RAFFAELE ARIE’ – Decca; NAZARENO DE ANGELIS, TANCREDI PASERO, AUGUSTO BEUF – VDP*)
Entra IL GRANDE INQUISITORE (basso) mandato a chiamare dal re che gli confida la propria ambascia e gli chiede il consenso per condannare a morte Carlo. L’Inquisitore glielo concede ma, in cambio, chiede che egli muti la sua politica novatrice e liberale ispiratagli da Rodrigo. – Uscito l’Inquisitore, entra Elisabetta e implora giustizia per essere stata vessata dai cortigiani che, secondo lei, le hanno sottratto uno scrigno prezioso.
Il re, allora, presenta presenta lo scrigno alla consorte e le impone di aprirlo. Fra i gioielli ivi custoditi, appare il ritratto che Carlo le regalò durante il loro fidanzamento, per cui Filippo è convinto di aver la prova del tradimento di entrambi e insulta la regina che sviene.
Sopraggiunge Eboli, la quale è presa dal rimorso e confessa alla regina d’esser stata lei a sottrarre lo scrigno. Elisabetta, per punirla, le impone di partire per l’esilio o di prendere il velo. La scena si chiude con l’aria di Eboli < O don fatale, o don crudele >:
Ah! Più non vedrò la regina!
O don fatale, o don crudele
Che in suo furor mi fece il cielo!
Tu che ci fai si vane, altere!
Ti maledico, o mia beltà!
(Incisioni più note: EBE STIGNANI, ELENA NICOLAI- Cetra)
Parte Seconda – Scena: La prigione di Don Carlo. – Rodrigo viene per annunciare a Carlo, imprigionato, la sua liberazione e gli narra d’essersi fatto cogliere con le carte compromettenti che Carlo gli aveva dato, per cui non tarderà ad essere condannato a morte sotto l’accusa di aver ordito la ribellione nelle Fiandre. Infatti, poco dopo, uno sgherro del Sant’Uffizio lo colpisce proditoriamente con un colpo d’archibugio. Rodrigo spira fra le braccia dell’amico confidandogli che Elisabetta lo attenderà, l’indomani, a San Giusto. Il re sopraggiunge per liberare il figlio che – frattanto – gli svela il nobile sacrificio di Rodrigo.
Ma ecco un tumulto sollevarsi all’esterno: è il popolo che insorge in favore di Carlo e irrompe nel carcere nel tentativo di liberarlo. – Fra la moltitudine, si cela anche Eboli, mascherata. Ella cerca di farlo fuggire, ma interviene Il Grande Inquisitore che soggioga il popolo e lo costringe a prostrarsi innanzi a Filippo.
ATTO V
Scena: Il chiostro del convento di San Giusto. - È notte. Elisabetta prega sulla tomba di CARLO V e ne invoca lo spirito affinché protegga la vita dell’Infante (è chiamata “la grande aria di Elisabetta”):
Tu che le vanità conoscesti del mondo
E godi nell’avel il riposo profondo,
s’ancor si piange il cielo
piangi sul mio dolore,
e porta il pianto mio
al trono del Signor.
(Incisioni più note: MILLI VITALE – Cetra*)
Carlo viene a dare l’estremo addio a Elisabetta, prima di partire per le Fiandre. Ambedue son sorpresi da Filippo e dall’Inquisitore che chiama le guardie per far arrestare Carlo. Ma si apre il cancello del mausoleo e appare Carlo V, il quale trascina l’Infante nella sua Tomba.
(Edizione Ricordi)
Incisioni dell’opera completa:
MARIA CANIGLIA (S), EBE STIGNANI (MS), MIRTO PICCHI (T), PAOLO SILVERI (Br), NICOLA ROSSI LEMENI (Bs) – Dir.: FERNANDO PREVITALI – Coro e Orchestra della R.A.I. di Roma – Cetra
ANTONIETTA STELLA (S), ELENA NICOLA (MS), MARIO FILIPPESCHI (T), TITO GOBBI (Br), BORIS CHRISTOFF (Bs), -
Dir.: GABRIELE SANTINI – Coro e Orchestra dell’OPERA di Roma - VDP